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Il mistero dei filtri per le polveri ultrafini

Credo di averlo spiegato non meno di un centinaio di volte ma, evidentemente, non sono abbastanza bravo da farmi capire. E, allora, prego chi mi ha scritto per capire come mai a Roma si filtrino le polveri ultrafini di leggere fino in fondo.

Come ormai è noto, con la collaborazione del Comune di Roma noi abbiamo eseguito le indagini sulla funzionalità di un sistema d’invenzione italiana mirato alla cattura di polveri sospese in aria. (Io non ho partecipato allo sviluppo e, dunque, non ho meriti). Così, per 18 giorni un autobus ha viaggiato per Roma e ieri, insieme con il sindaco, due assessori e il prof. Adolfo Panfili dell’Università La Sapienza ho tenuto una conferenza stampa in Campidoglio per illustrare in grande sintesi i risultati delle analisi, risultati che da tempo sono stati riportati per esteso in un documento di 156 pagine da me redatto e che sarà pubblicato dalla commissione per la viabilità sostenibile di cui io faccio parte. Appena un filmato pirata sarà disponibile, lo pubblicherò.

Di seguito, il comunicato stampa distribuito per l’occasione:

Nella primavera scorsa il prof. Adolfo Panfili incaricato del Sindaco per i rapporti istituzionali con gli enti sanitari e coordinatore del Piano Strategico sulla Mobilità Sostenibile nel Comune di Roma invitò mia moglie, la dott.ssa Antonietta Gatti – scopritrice delle nanopatologie, vale a dire le malattie da micro e nanoparticelle inorganiche – e me a far parte della Commissione relativa al piano strategico di cui sopra.

Motivo dell’invito era il lavoro che noi stavamo svolgendo su di un sistema per mitigare l’inquinamento urbano da micro e nanopolveri, un’apparecchiatura d’invenzione italiana chiamata LUFT che non era mai stata sperimentata sul campo pur avendo dato, fino a quel momento, ottime prove in laboratorio.

Molto semplicemente e certo semplificando un po’, il sistema consiste di una sorta di cassa da istallare sul tetto degli autobus. La “cassa”, grazie ad un’apertura posta sulla sua faccia anteriore, incamera l’aria che si fa incontro al mezzo quando questo è in movimento, e quell’aria passa attraverso due filtri meccanici collocati in serie ed un elettrofiltro finale.

Grazie all’interessamento del prof. Panfili che collabora con noi per lo studio sull’impatto sanitario che le polveri esercitano nei riguardi dell’organismo, il Comune di Roma e l’ATAC ci hanno messo immediatamente a disposizione un autobus con il quale condurre l’esperimento, per la prima volta sul campo. Così, tra il 15 giugno e il 2 luglio scorso l’autobus ha percorso 2.448 km in città per 188 ore di lavoro, muovendosi alla velocità di 13 km/h.

Smontati i filtri e trasferitili presso il nostro laboratorio Nanodiagnostics di Modena, abbiamo proceduto alle analisi di microscopia elettronica del particolato catturato e alla sua caratterizzazione per forma, dimensione e composizione chimica elementare, mentre il laboratorio SGS di Camposampiero (Padova) si occupava della pesatura delle polveri.

I risultati quantitativi sono stati eccellenti, con oltre 50 grammi di polveri catturate, ma non è questo il dato veramente interessante. Dal punto di vista sanitario, che è quello che più importa, occorre sapere che sono le polveri più fini ad impattare maggiormente sulla salute. Questo perché, come è facile intuire, le particelle ultrafini riescono a penetrare più facilmente e più profondamente nell’organismo rispetto a quelle più grossolane (che costituiscono la maggior quantità in massa delle PM10), fino a raggiungere, come dimostrato dagli studi della dott.ssa Gatti, il nucleo stesso delle cellule. E occorre sapere che le polveri inorganiche non biodegradabili inalate o ingerite (cadono su frutta, verdura e cereali) sono percepite dall’organismo come corpo estraneo e provocano tutta una serie di malattie, quelle che oggi sono chiamate “nanopatologie”. Queste comprendono patologie cardiovascolari (ictus, infarto del miocardio, tromboembolia polmonare), varie forme tumorali, malattie dell’apparato endocrino (es. tiroiditi e diabete), aborti e malformazioni fetali, sterilità maschile, malattie neurologiche, ecc.
Dal punto di vista della massa una particella da 10 micron di diametro vale quanto 64 particelle da 2,5 micron o 1.000 particelle da 1 micron o 1.000.000 di particelle da 0,1 micron. Per questo, valutare per massa le polveri – così come, del resto, previsto dalla legge – non rende ragione della loro effettiva patogenicità, visto che, legalmente, una particella da 10 micron considerabile innocua vale quanto un milione di particelle da 0,1 micron di diametro, ognuna delle quali incomparabilmente più aggressiva per l’organismo.

L’interesse precipuo del sistema sperimentato è proprio la capacità di catturare le particelle più fini che, se non influenzano sensibilmente la massa, lo fanno invece in modo pesantissimo sulla patogenicità. Si tenga conto che l’inquinamento da polveri interessa pure altre forme inquinanti. È noto, infatti, che prodotti indubbiamente tossici come diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici, ecc. aderiscono al particolato che, in questo modo, le veicola. Dunque, eliminando le polveri inorganiche, è ovvio che anche quegl’inquinanti subiranno una riduzione in atmosfera.

Volendo essere pratici, un apparecchio montato su di un autobus è in grado, nelle 24 ore (10.180 m3/h d’aria trattati nel caso di Roma), di agire sull’inquinamento da polveri che interessa all’incirca 9.000 persone.

Questo non significa che con 1.000 autobus attrezzati Roma uscirà necessariamente pulita, e il motivo è semplice: polvere inquinante continuerà ad essere prodotta costantemente sia in città (es. traffico e riscaldamento) sia fuori dei confini cittadini (es. ancora traffico,  centrali termoelettriche, inceneritori, cementifici, ecc.) e le polveri di quelle dimensioni hanno una mobilità enorme anche per sola diffusione, indipendentemente dalla ventosità. Non esistono dubbi, tuttavia, che la mitigazione prevedibile per ciò che riguarda quella forma così insidiosa d’inquinamento si prospetti di grande interesse sanitario.
 
Ma pure un altro razionale importante sta dietro un intervento sull’ambiente come quello indicato dalla sperimentazione effettuata: se è vero che è fondamentale ridurre le polveri direttamente alla fonte – cosa che richiede interventi assai complessi e, in un certo senso, sconvolgenti per le abitudini di ognuno di noi – ridurne la presenza a valle è ineludibile se si vuole essere davvero efficaci. La conseguenza della non degradabilità di moltissime polveri è un aumento inevitabile della loro concentrazione in atmosfera, e questo è un fenomeno non affrontabile con la riduzione a monte. Dunque, agire come prevede il sistema sperimentato costituisce una strategia indispensabile.

Ciò che pare arduo da far capire è come mai i filtri siano attivi sulle nanoparticelle quando io ho sempre detto che non esistono filtri del genere.

Il fatto è che io sono molto noioso e, quando parlo o scrivo, non riscuoto attenzione. Così, un dato che io ho effettivamente denunciato per le emissioni degl’inceneritori viene estrapolato come dato universale.
I filtri a maniche usati negl’inceneritori hanno la capacità di catturare solo polveri primarie filtrabili (niente primarie condensabili e niente secondarie) di dimensione raramente sotto i 2 micron. Ogni 2-3 secondi, poi, quei filtri sono totalmente intasati e un soffio violento di aria compressa imprime una sorta di brivido lungo il filtro stesso, e questo fa sì che le polveri caschino.

I filtri del sistema sperimentato a Roma sono meccanici (due posti in serie) seguiti da un elettrofiltro sulle cui lame si bloccano almeno in gran parte le poveri ultrafini che sono ovviamente sfuggite ai primi due.

La quantità di polvere prodotta da un inceneritore è enormemente più grande di quella catturata da un singolo elettrofiltro il quale, come i due filtri in serie che si svolgono a rullo, non necessita di pulizia se non dopo un tempo relativamente lungo. E questa pulizia si effettua con un sistema ad ultrasuoni che permette di raccogliere le nanopolveri. Queste sono poi compresse ad altissima pressione e trasformate in blocchi inerti.

Ad oggi un sistema del genere non può essere applicato agl’inceneritori. Questo non significa che, se domani qualcuno modificherà nel senso giusto l’apparecchiatura, la cosa non possa essere implementata.

Spero che si sia avuta la pazienza di arrivare fino in fondo.