I commenti fuori tema saranno cestinati
Ormai da parecchio non perdo più tempo con chi tempo ha da perdere, qualunque sia la ragione per cui quel tempo viene perso. O, magari, non è perso affatto ma è strumentale ad obiettivi da perseguire. E, magari ancora, si tratta di obiettivi non proprio dei più nobili.
Stavolta farò un’eccezione e perderò tempo.
Da circa un mese e mezzo è in circolazione nella città in cui vivo un nuovo quotidiano. Modena Qui (www.modenaqui.it) è il nome della testata.
Giovedì scorso il paginone centrale riportava, contrapposti, due articoli a firma di Caterina Giusberti a proposito del più che raddoppiato inceneritore modenese: a sinistra c’eravamo mia moglie ed io e a destra i professori Federico e Vinceti dell’università locale.
In mezzo troneggiava, lapidaria, una frase: “L’inceneritore che abbiamo è tra i più avanzati in circolazione. Per fare una battuta potremmo dire che inquina quanto un motorino.”
Chi abbia qualche nozione di fisica, di chimica e di tossicologia potrebbe pensare che l’autore di una simile enormità sia un frequentatore abituale di una mescita di Lambrusco e, dunque, vada preso per quello che è. Invece, no: trattasi del sindaco, laureato (in legge) e ricandidato per le elezioni del mese prossimo.
Inutile chiedere al personaggio che fine facciano, secondo la sua improbabile opinione, una volta bruciate, le migliaia di tonnellate di porcherie, a loro volta mescolate ad altrettante tonnellate dei materiali che vi si addizionano per motivi tecnici. Inutile chiedergli se lo abbiano informato che la Natura conserva la massa della materia, e questo indipendentemente dalle decisioni di un consiglio comunale o dagl’interessi di cosche della più disparata origine e composizione. Inutile chiedergli se qualcuno gli abbia spiegato che bruciare significa quasi sempre rendere più tossico un materiale. Inutile chiedergli se abbia idea che il piombo resta piombo, l’arsenico arsenico, il mercurio mercurio, e così via, a dispetto delle nozioni alchemiche con le quali si tenta di uccellare la carne da voti e da tasse, vale a dire gli elettori. Inutile chiedergli se lo abbiano reso edotto delle centinaia di sostanze organiche conosciute e delle migliaia di sostanze di composizione casuale che si formano in quei sistemi che inquinano “quanto un motorino”.
Non chiederò nulla di tutto ciò al signor sindaco, né gli farò notare che l’ARPA stessa ammise obtorto collo (era il 28 marzo del 2007 e l’inceneritore bruciava allora meno della metà dei rifiuti che andrà a bruciare) che l’inceneritore è la prima fonte d’inquinamento della città. Non girerò il coltello nella piaga perché potrebbe accadere che alle elezioni di giugno qualcuno, colto da improvviso risveglio, gli negasse il voto, quando il suo avversario, l’antico signore (rettore) dell’Università cittadina, è incomparabilmente più opinabile di lui. Insomma, a Modena la scelta è solo tra come si preferisce morire. Almeno il vecchio sindaco lo conosciamo e con lui moriremo ridendo.
Ciò che preoccupa maggiormente è l’atteggiamento dei professori.
Da tempo è stato messo in atto una sorta di studio epidemiologico condotto su territori a corone circolari concentriche (di raggi che vanno da 2 a 5 km) a partire dall’inceneritore. Qualcosa che, se mostrato ad un epidemiologo che conosca il suo mestiere, è, a dir poco, comico. Di questo ho parlato e scritto innumerevoli volte (vedi anche il libro Il Girone delle Polveri Sottili), compresa la relazione, mai pubblicata nonostante l’impegno preso dal Comune, che consegnai dopo una grottesca riunione del 28 marzo 2007 presso la sede comunale.
A febbraio scorso, quando il responsabile del Registro Tumori modenesi, il prof. Federico, presentò nel corso di una conferenza stampa il lussuosissimo resoconto stampato sullo stato della malattia in provincia, io feci notare l’assurdità del metodo che non ha nulla che possa essere nemmeno vagamente aggettivato come scientifico, non tenendo conto della realtà ma essendo basato su criteri che mi limiterò a definire dilettanteschi. Nell’occasione, il responsabile, imbarazzatissimo, ammise che ciò che dicevo era vero e aggiunse, improvvisando, che stava lavorando con me per correggere il metodo. Poi cambiò argomento in tutta fretta.
Forse ancora più preoccupante è la frase riferita a mia moglie: “La dottoressa Gatti non è un medico [è fisico e bioignegnere (N.d.A.)], quindi non ha titolo per parlare di tumori.”
Io non voglio toccare la sensibilità di nessuno e, men che meno, quella dei medici che, per ragioni misteriose, hanno adottato la convinzione di essere i depositari di una scienza che galleggia sopra tutte le altre e da queste altre è completamente avulsa. Non farò notare come nell’elenco dei premi Nobel per la Medicina figurino ben pochi medici, come la soverchiante maggioranza dei progressi medici sia ascrivibile a chi pratica discipline come la fisica, la biologia, l’ingegneria, la chimica, la farmacologia, né farò notare come la Medicina di oggi abbia imboccato sentieri che nulla hanno a che fare con la salute secondo la definizione corretta del termine. Mi limiterò a prendere nota di una spocchia che è una dichiarazione di resa senza condizioni: “Lei non sa chi sono io.” E la risposta ovvia è: “No: io mi occupo di scienza.” Senza voler infierire, il libro di mia moglie e mio Nanopathology sta nella biblioteca dell’Università di Harvard e in quella dell’Imperial College di Londra, e Jason Olive, collaboratore del nuovo presidente degli Stati Uniti me ne ha chiesto, ottenendole, due copie. Il testo dice qualcosa di decisamente nuovo, frutto di ricerche originali, proprio nel campo di quella Medicina che, stando al prof. Federico, ci sarebbe vietato. Senza voler infierire, noi fummo invitati alla Camera dei Lord di Londra per riferire dei nostri studi, ancora una volta senza l’approvazione del prof. Federico.
Da ultimo, sottolineo come il confinare l’attenzione ai tumori sia fuorviante perché questi non sono le malattie più incidenti, e come l’affermazione esternata da quel sunnominato prof. Vinceti nel corso dello stesso articolo secondo cui sia in discussione se le polveri più fini, quelle ben al di sotto di quelle valutate per legge – una legge che, peraltro, è in via di cambiamento – siano o no patogene è confessione di un’ignoranza che non mi fa certo essere orgoglioso della mia ormai antica laurea conseguita proprio presso questa ormai tristissima Università. Pensi, caro professor Vinceti, che persino l’ARPA(!) si è accorta, e da tempo, di quello che lei così grottescamente ignora.
Per concludere, sono disponibile a perdere ancora altro tempo: cari professori, venite a vedere che cosa facciamo nel nostro laboratorio (fino a che esisterà) e lasciate che v’illustriamo che cosa c’è nei tessuti malati. Studiate anche un po’ di letteratura nostra e capirete perché quei puntini in quelle strane fotografie di cui voi non avete cognizione fanno venire tante malattie. Un po’ di umiltà farà bene non solo a voi ma anche ai vostri pazienti.
Immagine da: http://3.bp.blogspot.com/_DVToqFcy0PI/SEKP2Esu6SI/AAAAAAAAAN8/uRa54yO3z4U/s320/toto