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la città ideale

Sto partendo per l’Irlanda e, benché abbia lavorato indefessamente per un paio di giorni, ho ancora quasi mille mail, alcune chilometriche, cui voglio dare risposta. 

I voti che abbiamo ricevuto non arrivano a 120.000, ma sono tutti, nessuno escluso, voti di qualità, voti di chi davvero è consapevole di come la politica sia la conduzione della casa comune per il bene comune e non la mascalzonata che da decenni ci vediamo rifilata come grottesco e ben poco appetitoso surrogato.

E che siano voti di qualità lo vedo nelle innumerevoli mail che ricevo, nelle domande che fioccano su questo blog, negli articoli che scrivete. Se ognuno di noi 120.000 sarà così bravo da far conoscere il movimento, se consiglierà ad altri la frequentazione attiva di questo blog, se agirà pensando alle prossime sette generazioni come facevano i grandi capi pellerossa, ecco che non solo tutta la fatica fatta non sarà stata inutile, ma sarà stata un seme fecondo. 

Che noi ci dobbiamo riprendere le chiavi di casa è un fatto indiscutibile. Che noi non abbiamo alcun diritto di derubare i nostri figli del loro denaro, della loro salute, della loro terra e del loro futuro

è altrettanto fuori di discussione, perché, se lo fosse, saremmo cascati nella trappola dei vari Veltrusconi e dei loro amichetti, da Vespa a Veronesi. 

Il motivo per cui sono in partenza per l’Irlanda è semplice. Un gruppo di persone mi ha chiesto di andare a discutere con le autorità locali che hanno avuto la pensata geniale di progettare un inceneritore in un paese che non ne ha mai avuto uno. Laggiù i cittadini possono discutere con i loro dipendenti e portarsi un esperto in aiuto. Da noi? Da noi la politica è stata contrabbandata come se si trattasse di tifo calcistico, il più becero, il più immorale e il più arrogante. Non importano i contenuti né importa se si vince grazie ad un rigore che non c’era o se si è comprato l’arbitro. L’importante è vincere.

E di questa dolorosa distorsione approfittano i lestofanti che nel mio mese di frequentazione politica ho avuto il modo d’incrociare, di sfiorare o di cui ho conosciuto più da vicino le gesta. Politicanti e pennivendoli uniti a difesa della loro casta che deve restare impenetrabile, pena lo sbriciolamento. Politicanti che, indipendentemente dai loro schieramenti, si coalizzavano contro chi, ed ero io, nell’occasione, potesse mettere a rischio il muro che in decenni di paziente anestesia si sono costruiti intorno. Noi non facevamo paura per i numeri che potevamo mettere in campo ma per la sveglia che minacciavamo di dare. E i giornalisti erano perfino peggio, prestandosi a distorcere, ad adulare, a nascondere, a sparlare, a tacere a seconda dell’ordine che arrivava dalla voce del padrone. 

Oggi siamo numerosi quanto la popolazione di una città di provincia. Potremmo essere la città ideale.

Domani? Dipende da noi.