Un amico mi manda la fotografia di un messaggio di posta elettronica risalente al lontano giugno 2010. Magari è un falso e, se è così, per tale va considerato. Comunque, aspetto conferme, smentite o, meglio, spiegazioni.
Nel 2008 io andai a Taranto
e, nell’occasione, mi si fece fare un giretto all’ILVA, almeno dove si poteva arrivare senza che qualcuno provvedesse ad allontanare il non certo benvenuto visitatore. Impossibile non notare che uno spesso strato di polvere rossa ammantava il paesaggio, e impossibile, almeno per me, non pensare che quella roba doveva essere tale e quale nei polmoni e nei tessuti dei tarantini. Tale e quale perché l’organismo, una volta che l’ha catturato, non è capace di liberarsene e, quando qualcosa accade, è una corrosione che produce veleni forse peggiori delle particelle.
La sera tenni una conferenza in una libreria davanti a poche decine di persone. Quelle cose le dissi ma, senza sorpresa, cadde tutto nel vuoto. Meglio far finta di niente, non solo per chi, ignorando quell’effetto collaterale, fa quattrini a palate, non solo per i politicuzzi che un tempo a Bologna si chiamavano, chissà perché, i “mangiamale”, ma anche per molti che in quelle condizioni lavorano. Del resto, diversi anni prima avevo tenuto un po’ di conferenze nella Terra dei Fuochi con gli stessi risultati. Cambiando per un attimo inquadratura ma non girone infernale, qualche giorno fa ho sentito i lavoratori siciliani della zona delle tante raffinerie affermare “meglio morire di cancro piuttosto che di fame.”
Al di là della pelle d’oca, emettere giudizi è cosa che non posso permettermi: ognuno è padrone di se stesso e custode dei propri figli. Prima o poi, però, accadrà che i figli chiedano ragione di certe scelte che leggono sulla loro carne. La sola cosa che so di poter dire è che, se non altro ufficialmente, il salario non prevede che oltre alle ore di lavoro si metta in una colonna della busta paga anche un cancro o, magari, una malformazione fetale, tema su cui stavamo lavorando proprio in quella zona prima che si provvedesse ad imbavagliare la nostra ricerca così fastidiosa.
Fatta esperienza sulla mia pelle, so che non ci sono speranze o, se ci sono, sono ridotte davvero al lumicino e qualcuno me le segnali perché io non le vedo. Chi si proclama difensore dell’ambiente e l’ambiente lo ficca perfino nel nome del partito per poi violentarlo beffardamente non pagherà mai per le sofferenze terribili che infligge alla mandria di uomini bovinizzati. Né pagheranno i criminali che, tra calunnie e silenzi, coprono ipocritamente chi impedisce che la realtà sia servita per quello che è attraverso i mezzi di cosiddetta comunicazione. Né sono innocenti i mille enti di controllo che affollano la nostra burocrazia pestandosi i piedi l’un l’altro. Né lo è una magistratura impreparata tecnicamente e per prassi letargica. Né sono esenti da colpe i sindacati, organizzazioni ormai fuori del tempo e dell’oggettività delle cose che mandano in piazza milioni d’iscritti a strillare per quattro soldi e se ne infischiano bellamente delle condizioni che a quei quattro soldi fanno da contraltare.
La mia conclusione è che i responsabili sono talmente tanti da cancellare le singole facce. Dunque, tutti insieme, per mano, verso l’inferno. Tutti con gli stessi rischi. Qualcuno con le tasche piene, chi materialmente, chi metaforicamente. Per fortuna oggi il Giornale Radio RAI ci ha dato ragguagli interessanti sul Festival di Sanremo di metà febbraio 2015.