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ignoranti, rapinati e contenti

Qualche giorno fa scrissi un post sull’ennesima presa per i fondelli che tutti noi dobbiamo subire, più o meno coscienti del nostro ruolo di vittime paganti, da parte delle nostre università ormai da rottamare. Ridendo e scherzando, si tratta di burle che ci costano miliardi di Euro pagabili in comode rate con le tasse, ci costano la salute e, per soprammercato, ci costano pure l’onere di una generazione di quella che sarà nel prossimo futuro una classe dirigente fatta d’un esercito d’ignoranti in buona fede. Mi riferisco a quella tesi che ha cinto d’alloro un povero ragazzo prestatosi, certo ignaro di tutto, a recitare la solita giaculatoria di regime sulle magiche virtù degl’inceneritori. In quel caso il santificato era il costruendo mostro del Gerbido a due passi da Torino, ma i casi in fotocopia si sprecano in tutta la povera penisola, isole comprese. Bene, com’è, come non è, pare che chi doveva cacciare i quattrini (in prestito, naturalmente, perché quelli veri li cacciamo noi) adesso ci stia ripensando. La ragione ufficiale addotta è che i termini della gara non erano proprio quel che si dice limpidi e convincenti, cosa che non dovrebbe stupire l’uomo di mondo, visto che da noi si fa ben di peggio e lo si fa tutti i giorni, a volte cascando pure sotto la bacchetta della Comunità Europea che ci multa. Offriamo noi, noi contribuenti, voglio dire, naturalmente. Insomma, almeno per ora, sui 360 milioni promessi nel menu, e che costituiscono solo l’antipasto di un banchetto da matrimonio siciliano, non si mettono le mani. Ovvia disperazione al quartierino dove già avevano preparato lo champagne in fresco. “Una brutta battuta d’arresto,” scrive tale Alessandro Mondo, giornalista de La Stampa (10 ottobre 2007), aggiungendo la frase che fa tanto Banda Bassotti: “proprio adesso che tutto sembrava filare liscio…” Al che il presidente della Provincia di Torino risponde: “Ora non drammatizziamo. Ma è un fatto che il mondo finanziario non può sottovalutare la portata, ambientale e sociale, di un'opera simile. Queste sono le sfide vere sulle quali misurarsi, a beneficio di tutto il territorio.” A questo punto ci si potrebbe a buon diritto chiedere che cosa diavolo significhi la frase, almeno fino alle ultime sei parole che costituiscono la chicca di scuola Wanna Marchi del discorso.

Forse il mondo finanziario s’interroga sull’entità della cifra richiesta o, magari, sulla reale “redditività” di un impianto che fa quel che facevano il leggendario Cazzetto emiliano o il parimenti leggendario Caccolino toscano che bruciavano i violini per ricavarne cenere da vendere. Bisogna poi aggiungere che, per fare questa brillante operazione, l’impianto è costretto, per puri motivi tecnici, a moltiplicare l’immondizia. O, magari ancora, il mondo finanziario resta perplesso sul fatto che, non essendo stata applicata la legge (quel principio di precauzione così seccante), l’opera verrebbe alla luce fortemente inquinata dal peccato originale dell’illegittimità, rischiando, per questo, di nascere morta come una qualunque villetta abusiva da abbattere. E se si fossero accorti che tutto il giochetto degl’inceneritori sta in piedi su di una truffa di carta velina? È vero che noi italiani siamo da decenni addestrati a lasciar costruire opere pubbliche imponenti e a sobbarcarcene le spese per poi vederle andare a pezzi senza essere state nemmeno inaugurate e senza che mai chiediamo ai birichini responsabili della marachella di rifonderci del maltolto, ma stavolta c’è in ballo qualcosa di più, vale a dire la salute di oggi e di domani. E anche di dopodomani, se è per questo. Forse è così che a qualcuno può essere venuto in mente come puntare 360 milioni di Euro su una roulette il cui banco è tenuto da personaggi non proprio di tutto riposo, possa essere un rischio eccessivo. Del particolare che più mi sta a cuore, quello della salute, il signor Saitta, presidente della Provincia di Torino, non fa menzione nella sua intervista rivelatrice. Che cosa dicano gli Ordini dei Medici e tanti altri organismi che di salute si occupano professionalmente o che cosa dica la scienza (quella vera, signor Saitta, non quella dei canovacci da commedia dell’arte scribacchiati dai politici e mal recitati da qualche guitto accademico a buon prezzo) il presidente provinciale lo ignora. Mesi fa io andai a Torino, proprio in Provincia, a raccontare un’ovvietà: perché incenerire i rifiuti è un sistema illusorio e truffaldino per affrontare un problema che richiede ben altre terapie. Ma il tutto restò lettera morta, anche perché i (pochi) personaggi presenti erano in parte troppo impegnati nella lettura del giornale e in parte altrettanto impegnati a farsi quattro chiacchiere con il vicino o con qualcuno che rispondesse al cellulare. Oppure l’esigenza impellente di mettere in circolo quella massa di quattrini li rendeva impermeabili ad ogni tentativo di dar vita al cervello. Il signor Saitta, comunque, era naturalmente assente. Del resto, mica gli potevano importare certe cose. Spreco? Problema moltiplicato? Salute? Ma che c’entra lui? La sostanza fu che il tutto cadde nel vuoto, al di là di qualche domanda distratta, un paio delle quali da parte di presenti fugacemente risvegliati per l’occasione che mi sconvolsero per la loro disperante idiozia. Ma, al di là della tragedia di essere amministrati in questa maniera, uno dei tanti drammi che ci affliggono è il cancro dei nostri cosiddetti media, quella malattia che ci pone in fondo alla scala delle nazioni per libertà d’informazione. Nella stragrande maggioranza dei casi ci si propinano notizie distorte fornite da giornalisti che dell’argomento sanno ben poco (chi, con qualche nozione di chimica, volesse andare a pag. 6 del Corriere della Sera del 10 ottobre ne vedrebbe un piccolo esempio) o, assai più spesso, notizie contrabbandate o, se conviene, taciute, da manutengoli di regime. Ormai non ci restano che le previsioni del tempo e la lista dei programmi TV. Dopotutto i giornali e le varie emittenti appartengono spesso a persone o a gruppi di persone che è augurabile non incontrare in una strada buia e, sia come sia, vivono di pubblicità e di “aiuti” politici cosicché, dunque, i rubinetti non possono essere chiusi. Anche là si tiene famiglia. In un paese che ambisca ad essere classificato libero, i media darebbero ampio spazio a chi contraddice, soprattutto quando lo fa con dati alla mano, personaggi come il Saitta di turno, e di questi non abbiamo altro che abbondanza, e non esiterebbero a mettere costoro di fronte a tutta la loro insostenibilità pretendendo risposte che non offendano l’intelligenza. Come funzioni la cosa, invece, lo vedete da voi. O, almeno, spero lo vediate.

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