“Aveva un cuore troppo fragile per affrontare l’avventura della vita.” Sono le parole che ha scritto di getto Alessandro Gassman non appena ha ricevuto, forse contemporaneamente a me, la notizia della morte di Manrico Gammarota.
Con Manrico non ci si vedeva spesso, ma
ogni volta era una festa. Anche solo sentirlo per telefono dava i brividi con quella voce da eroe greco che Garcia Lorca avrebbe definito “piena di sole e di sassi”. Che fosse un attore di una bravura che agl’intenditori come mi vanto di essere io dava un’emozione da togliere il respiro ci si accorge ora che è cosa irrilevante. Quando era non troppo lontano da casa mia per uno spettacolo Manrico mi faceva trovare due biglietti al botteghino ma prima, e spesso dopo il teatro ci s’incontrava comunque e ci si parlava come se il discorso non fosse mai stato interrotto. A volte con lui c’erano Gassman e qualcuno dei suoi compagni di scena, compagni che, con lui, un giorno vennero anche a trovarmi in laboratorio, con Manrico che allora improvvisò una piccola lezione di teatro per i miei ragazzi prima esterrefatti, poi entusiasti.
Manrico ha lottato con discrezione per anni prima di scegliere di andarsene. Eravamo insieme a Reggio Emilia quando, con una delicatezza che, se non stridesse tanto palesemente con la voce e con l’aspetto, direi femminea e virginale, seppe della morte improvvisa della moglie, una moglie che era per lui ragione di vita e senza la quale la vita restava senza ragione. Eravamo, lui, mia moglie ed io, seduti al tavolo di un bar all’aperto di una piazza in pieno centro e, perché nessuno si girasse e sorprendesse le lacrime, Manrico si alzò e si mise a recitare per noi davanti ad una folla che si era girata attonita e senza poter capire se le lacrime fossero vere o da attore. Anche in quel momento, anzi, ancor di più in quel momento, Manrico toglieva il fiato.
Se , nella sua guerra impossibile per venire a patti con il mondo, Manrico abbia vinto o perso fatico a dirlo. Certo non aveva il cuore fragile come ha detto Alessandro. Il suo cuore era semplicemente troppo puro, troppo incorruttibilmente ingenuo, troppo diversamente forte per questo lurido mondo. Come si dice in certe rappresentazioni sceniche di quart’ordine, tra quei due uno era di troppo. Così, tra loro, tra lui e il mondo, non restava che il divorzio, un divorzio che Manrico ha dovuto decidere, visto che l’altro, il mondo, continuava beffardamente a perpetuare quella convivenza reciproca che non aveva più alcun senso.
Manrico, io lo sapevo.