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a proposito di censura…….

                          

Guardando da lontano una tavola di Bosch si scorgono bruscolini colorati sparsi un po’ dovunque, ma, quando ci si avvicina, ci si accorge che quei coriandoli sono animali mostruosamente antropomorfi, esseri orrendi nella loro assurda, inclassificabile e misteriosa deformità e ometti nudi coinvolti nelle più oscene e fantasiose torture. A dare un altro brivido è lo scenario, a volte sinistramente bucolico. Surreale è l’aggettivo che di prassi s’impiega per questo bizzarro pittore del Quattro-Cinquecento fiammingo, però, guardandoci intorno, potrebbe anche capitarci di riconoscere qualche tratto del paesaggio, e, se non avessimo troppa fretta e osservassimo con un po’ d’attenzione quei personaggi a prima vista impossibili, potremmo addirittura riconoscere tra le mille figurine qualcosa che sa tanto di casa. Forse Bosch non era lo psicopatico visionario che appare a prima vista o, almeno, non era solo quello: mezzo millennio fa il suo pennello aveva messo l’Italia di oggi sulle sue tavole di legno. Come quei dannati, anche noi siamo preda e strumento delle oscenità dolorose e disperate di carnefici mostruosi, e come per quelle figurine, il dolore è solo nostro, di ognuno di noi senza conforto. Esagero? Senza voler tornare troppo indietro, poco più di una sessantina d’anni fa l’Italia si liberò in un modo o nell’altro della dittatura fascista. E poi? E poi successe quello che succede con regolarità nei dintorni di ogni rivoluzione: la nuova classe dirigente – che, non scordiamolo, è fatta di uomini con tutto ciò che l’esserlo implica – non prende il timone per timonare verso acque sicure ma per “vendicarsi” del passato e per recuperare ciò che gli è sfuggito di mano e, per farlo, commette gli stessi crimini di coloro contro cui ha combattuto, magari in buona fede, fino al giorno prima. Il che è quanto da un sessantennio viviamo noi. Forse sessan'anni sono un tempo un' po' troppo lungo per smaltire i postumi, ma questo è. Lasciando perdere tutta una storia recente di stato deviato (ma mi si spieghi, di grazia, deviato rispetto a che), di stragi mai volute chiarire, di grandi vecchi amnistiati, di contrabbandieri d’armi cui si

pianifica d’intitolare strade, di leggi nel bene e nel male fatte per qualcuno, di ladrocini santificati e di tante amenità del genere, oggi siamo avviati inesorabilmente verso un modello di dittatura che è il più pericoloso da guarire. E lo è perché, con paziente astuzia, governo dopo governo, ci è stata tolta una briciola di libertà alla volta, lasciandoci il tempo di farci l’abitudine. Così, per noi questo è uno stato democratico. In realtà, oggi la nostra società è in un coma che non è più nemmeno vigile e su questo corpo che ancora respira e in cui rimangono le funzioni vitali, quelle che rendono quattrini a chi ci spolpa con metodo, ci si può permettere di fare di tutto. Chi si è accorto che gli articoli 3, 32, 56 e 58 della Costituzione sono stati di fatto abrogati? Chi, ormai, non si limita a credere che sia solo una coincidenza curiosa se si fa notare che il nostro parlamento, per illegale che sia, ospita nel lusso un tasso di pregiudicati che non ha uguali al mondo? Chi va al di là di qualche scrollare di testa al cospetto delle birichinate di Bersani o di Mastella, birichinate che in qualsiasi paese civile avrebbero significato l’allontanamento dalla carica, se non peggio, mentre da noi trovano addirittura dei tifosi? E adesso magari si strillerà un po’ perché quel tale onorevole Ricardo Levi (con una c sola perché lo abbiamo importato dall’Uruguay), un tempo giornalista di quart’ordine ed ora maggiordomo di Romano Prodi, ha prestato la sua faccia per perpetrare l’ennesimo crimine nei confronti della democrazia tentando di chiudere, con una proposta di legge che è un capolavoro d’ipocrisia paleo-democristiana, i blog che tanto infastidiscono i mascalzoni istituzionali. Si strillerà un po’ finché non interverrà, deus ex machina, Prodi mitigando il tutto e lasciando libertà piena e assoluta ai blog delle ragazzine che vogliono tanto tanto la pace nel mondo. E i media, ormai da anni ruffiani di regime, plaudiranno al trionfo della democrazia. Ma come l’immensamente piccolo porta in sé un brandello d’universo, così ogni tessera di questo pittoresco mosaico italico è la miniatura del disegno nella sua interezza. Non è andata al di là delle cronache locali, ed è stato solo per lo spazio di un mattino, l’ennesima impresa del rettore dell’Università di Modena. Il suo potere non è gran che se visto su scala nazionale, ma, nel suo piccolo, gestire quel pur minuscolo potere non è cosa di cui lamentarsi. Come fanno i “grandi” anche lui ha manovrato perfettamente in modo da “modernizzare” lo statuto universitario per trasformare la sua personale posizione di rettore (ora manager) a tempo determinato (due mandati e poi a casa) in quello che è in pratica un regno. In questo modo, bisogna convenirne, è assai più agevole condurre progetti anche di lunga durata tra i quali c’è il fare ciò che fanno tutti i bravi padri di famiglia: far crescere i rampolli nel solco della tradizione e vederli avanzare nella carriera che fu dei padri. E questa gioia familiare è democraticamente condivisa dai padri che collaborano fedelmente alla conduzione del regno. Una cosa stupenda, insomma, perché i figli, come si suol dire, sono pezzi di cuore. È così che l’università ringiovanisce, con un corpo di docenti che non avranno un gran curriculum ma che di sicuro si faranno. Un po’ come gli autisti di autobus assunti a Palermo: senza patente ma con tanta voglia d’imparare. Dunque, evviva la lungimiranza del rettore! Di tanto in tanto, però, c’è qualche cattivaccio insensibile che tenta d’intralciare il corso dei sentimenti e della ragione, arrivando perfino a rivolgersi sfrontatamente alla magistratura perché dia un’occhiata a certi concorsi. È il caso, nella fattispecie, di tale prof. Massimo Federico, oncologo, un caso che non è unico. E allora, ecco che il rettore-papà è costretto a mostrare, certo controvoglia, tutta la sua inflessibile severità e a punire lo sconsiderato, e una punizione adeguata è fargli sparire di sotto il naso l’insegnamento. Why not?

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