Con la tempestività che contraddistingue l’italica accademia di cui andiamo tutti fieri scoppia improvvisa l’indignazione: il mitico comandante Schettino ha partecipato ad un seminario organizzato da La Sapienza di Roma. Quando? Un po’ più di un mese fa. Era invitato? No, non proprio. Almeno non pare: il seminario era aperto a tutti, lui era tra il pubblico e ha fatto un intervento di qualche minuto. Fosse anche stato invitato, visto che il suo naufragio entrava tra gli argomenti, trovo del tutto corretto che lo si sentisse. Qualcuno, indignato sul posto, ha lasciato l’aula? Non risulta. Qualcuno tra lo scarso pubblico ha contestato la presenza del personaggio o le sue parole? Nemmeno questo risulta. E, allora, perché lo scandalo postumo? Beh, conoscendo usi e costumi delle nostre università, il sospetto è che il povero professore organizzatore dell’evento, tale Francesco Mastronardi mi si dice noto al pubblico per interventi televisivi, stia sulle scatole a qualcuno all’interno dell’Ateneo e, non trovando altra occasione, quel qualcuno a questa piccola quanto artificiale manna dal cielo raccattata dopo oltre un mese ha trovato comodo aggrapparsi. Di norma ad un seminario la discussione è non solo ammessa ma fa parte del rito. E, allora, a che titolo il professor Mastronardi avrebbe potuto impedire a Schettino, legalmente uomo libero, di prendere la parola? La notizia che non è trapelata, poi, è se Schettino abbia detto fesserie, banalità o cose corrette. Questo, di fatto il punto cruciale, pare non interessare a nessuno. Forse nessuno ricorda che non ha importanza chi dice una cosa: è importante che cosa dice.
Sorvolando sul corteo ululante di sepolcri imbiancati come sempre immancabili in situazioni del genere, tra gl’indignati spiccano almeno due personaggi: il procuratore della Repubblica di Grosseto e il ministro Giannini.
Il primo, tale dottor Verusio, già tenne un comportamento a dir poco curioso al momento del “fattaccio” del Giglio, sparando pubblicamente a zero contro Schettino con interviste non proprio raffinate concesse con un certo entusiasmo a cani e porci. Indipendentemente dall’opinione che chiunque ha il diritto d’intrattenere sul comandante Schettino e sulla sua posizione oggettivamente difficile da difendere, qualunque magistrato deve sapere che un imputato è presunto innocente fino a condanna definitiva, condanna che, nel momento specifico delle interviste, non poteva esserci non fosse altro che perché non era ancora stato istruito alcun processo. E, comunque, sia, anche quella che sarà la pubblica accusa deve attenersi ad un certo buon gusto, buon gusto palesemente latitante.
Quanto a Stefania Giannini, ministro dell’Università della cultura e della ricerca, temo che, da brava politica nostrana, le manchi qualche informazione.
Ammettiamo che, come è più che possibile, Schettino sia effettivamente responsabile della morte di una trentina abbondante persone e di un danno economico tutt’altro che trascurabile (anche se un collega ministro ha annunciato trionfalmente che smantellare la nave costituisce una splendida occasione di lavoro e dà un aiuto a rallentare la caduta del PIL). Questo personaggio, delinquente al momento solo presunto ma non per la legge, ha detto la sua ad un seminario, con ciò scatenando uno scoppio ritardato cui la senatrice ministra ha regalato la sua augusta autorità. Ma la professoressa Giannini si è mai chiesta quanti delinquenti certificati da un terzo grado di giudizio intervengano a seminari e a sedute parlamentari e partecipino pesantemente alle decisioni, stando ai fatti fallimentari, del governo di cui lei fa parte? O si è mai chiesta quante idiozie i suoi colleghi universitari insegnino ai malcapitati studenti? O quante ne sparino in interventi pubblici? O quante ne stipino nei documenti ufficiali che compilano? E si è mai chiesta quanti siano i morti e i malati di cui questi suoi colleghi sono di fatto responsabili anche se nella stragrande maggioranza dei casi la fanno franca? E i danni economici? E quelli ambientali? Un’occhiatina nei suoi dintorni, onorevole senatrice, non sarebbe fuori luogo.
Se questa nazione è in sfacelo, se è affetta da una sindrome che comprende un numero di patologie difficili persino da censire, i motivi non sono certo misteriosi, e un motivo tra i tanti è la squallida ipocrisia infiltrata ad ogni livello.