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Chi rompe paga. O no?

Non voglio entrare negl’inevitabili gineprai giuridici del sequestro ILVA né voglio dilungarmi sul comportamento dei sindacati che mi fa semplicemente orrore. Io avrei fatto esattamente ciò che ha fatto il magistrato. Anzi, in una mia conferenza tenuta a Taranto nella primavera del 2008 davanti a non più di 50 sfigati io proposi

il sequestro con tanto di galera per i responsabili di quello che ai miei occhi, occhi non allenati alla politicuzza, alla giustiziuzza e alla retoricuzza di una sinistra che è sinistra solo come aggettivo e che fa vergogna a chi nella sinistra crede appare un crimine di una gravità assoluta.

 

In questo paese da avanspettacolo di quart’ordine chiunque voglia “fare impresa” (virgolette!) è il benvenuto, purché si tratti di mascalzonate. Lascio da un canto la FIAT che è stata sorretta di peso per decenni e ora che la trippa per gatti comincia a scarseggiare minaccia di andare altrove. (Ma, alla lunga, non è che, magari, ne abbiamo solo da guadagnare?) Qui c’è la pacchia assicurata per chi incenerisce i rifiuti più schifosi e, anzi, magari ci scappa pure qualche premio, non importa se confezionato in casa. Qui si può scavare dovunque come il Pasqualino Marajà di Domenico Modugno succhiando fanghiglia mista a petrolio d’infima qualità e buttando quella fanghiglia ormai inutile più o meno dove più aggrada. In aggiunta, per ricavare quel petrolio ci vogliono pure tonnellate e tonnellate, a migliaia, di solventi chimici, pure quelli da “smaltire”, il che, tradotto, significa da sistemare da qualche parte senza che chi ci abita se ne accorga. Marginalmente, si sappia che la royalty che l’Italia fa pagare su quella roba è il 7% contro l’80% di Libia e Norvegia. Insomma, il Paese di Bengodi. Qui si può arrivare dalle pianure statunitensi e piantare una fungaia d’inceneritori cosiddetti a biomasse in una località di villeggiatura dando quattro soldi al comune retto da un sindaco che troverebbe più indicazione in altri luoghi e per altre mansioni che non elenco. Qui si può arrivare dal Belgio e dalla Svizzera e “dare lavoro” con l’amianto, darlo per generazioni, per poi accorgersi, dopo decenni di cancri davanti agli occhi di tutti, dell’ovvietà. Qui si può avere la benedizione per qualunque porcheria portando carriole di documenti grottescamente fasulli a burocrati ignoranti e corrotti, promettendo impossibili bonifiche quando, a devastazione completata, si abbandonerà il territorio come facevano gli Unni.

Il danno c’è: territori finiti per sempre, malattie, morte, malformazioni, aborti… E la beffa? La beffa è che quelli che noi chiamiamo imprenditori e ai quali ci rivolgiamo stringendo il cappello in mano fanno solo la loro parte del lavoro: ritirano gli utili. L’altra parte la facciamo noi: paghiamo i danni che quelli hanno fatto. E non sono solo quattrini, per tanti che siano, che paghiamo ma ci sono pure i nostri figli di mezzo. Quelli li vendiamo senza lacrime in cambio di un soldino.

Il ricatto del lavoro: uno degli aspetti più degradanti della questione. Si sappia che la maggior parte dei processi industriali può essere condotta inquinando infinitamente meno di quanto non si faccia abitualmente. Il problema è che le contromisure costano e l’“imprenditore” non ha nessuna voglia di rinunciare a un bel castello di trentadue che lui ce n’ha o ad un metro di panfilo. E il problema altrettanto grosso è che i sindacati sono loro complici.

Ci sveglieremo mai?

1 Comment
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Sauro.S
12 anni fa

IL LAVORO NUOCE ALLA SALUTE ?
Complice come sempre anche i media italiani, ecco la puntata di ieri 28.07.2012 della trasmissione IN ONDA (LA7).
Ognuno tragga le sue conclusioni.
[url]http://www.la7.it/inonda/pvideo-stream?id=i578749[/url]