Chi ignora che ci è stato sottratto da Beppe Grillo il microscopio elettronico indispensabile per la nostra ricerca, s’informi prima di procedere, andando subito alla domanda che si trova più avanti

Com’è la storia del microscopio sottratto?

Chi conosce la triste vicenda, continui.

Di seguito alcune delle domande che più spesso mi vengono rivolte e le risposte relative. Risposte dettagliate si trovano nei libri “Nanopathology”, “Il Girone delle Polveri Sottili”, “Il Futuro Bruciato”, “Lo Stivale di Barabba” e “Rifiuto: Riduco e Riciclo” oltre che nei testi citati in bibliografia che invito a leggere prima di porre domande cui ho già dato ampia e frequente risposta. Le bizzarrie che si leggono in rete sono, il più delle volte, frutto di fantasia estemporanea o pettegolezzi di nullafacenti raccolti e moltiplicati secondo una notissima reazione a catena. Le informazioni che Wikepedia dà sul mio conto sono un ottimo esempio di disinformazione via Internet. I numerosi tentativi per correggere le baggianate contenute alla voce Stefano Montanari sono andate costantemente a vuoto. Evidentemente qualcuno all’interno di quella strana enciclopedia “che non dà garanzia sulla correttezza dei contenuti” ha interesse a diffondere informazioni false. Perciò invito tutti a non consultare quell’accozzaglia d’idiozie perché è a dir poco fuorviante.

Come premessa alle domande e risposte, rendo noto che chiunque pensi che il laboratorio Nanodiagnostics sia una sorta di macchina da soldi e, parimenti, chiunque abbia a che ridire su ciò che faccio ha l’obbligo di accettare l’invito ad acquisire il sunnominato laboratorio a costo zero, assumendosene, però, debiti e crediti insieme con l’obbligo di continuare la ricerca almeno con la stessa efficienza di oggi per non meno di dieci anni. In mancanza di questa disponibilità, non negoziabile, le critiche non sono altro che chiacchiere oziose e, pertanto, sono prive di credibilità. Dunque, no perditempo. Per loro, la rete pullula di siti molto più adatti di questo.

Per favore, non chiedetemi pareri su questo o su quel tipo d’impianto. Io do la mia opinione solo se mi è consentito di ispezionare l’impianto stesso e di analizzare ciò che ne esce. Il che non mi viene mai permesso per motivi che credo ovvi, e mi pare che questa sia la prova più lampante della malafede di chi propone quelle soluzioni. Lo so, è deludente, ma io non faccio atti di fede: ho bisogno di prove e mi fido solo di me stesso.

 

Che cosa sono le nanopatologie e quali sono le nanopatologie più comuni?

Le nanopatologie sono le malattie provocate da micro e/o nanoparticelle solide, inorganiche, insolubili nell’acqua e nei grassi che entrano nell’organismo. Contrariamente a quanto pare creda la maggior parte del pubblico, medici compresi, le nanopatologie più frequenti non sono le malattie tumorali, pure frequenti, ma quelle cardiovascolari (ictus, infarto e tromboembolia polmonare.) Altre nanopatologie comuni sono la stanchezza cronica, l’insonnia, la perdita di memoria a breve, l’irritabilità, malattie neurologiche come il morbo di Parkinson ed il morbo di Alzheimer, malattie del sistema endocrino (es. tiroiditi e diabete), malformazioni fetali, sterilità maschile, malattia del seme urente, e varie forme allergiche. C’è, poi, tutta una serie di malattie cosiddette criptogeniche, cioè di origine ignota, su cui varrebbe la pena indagare sotto l’aspetto nanopatologico. Tra queste la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e la sclerosi multipla.

 

È possibile fare un test per sapere se si è intossicati da nanoparticelle?

No. Di norma, occorre una biopsia dell’organo malato. In mancanza di questa, in casi particolari si può esaminare il sangue, la saliva o lo sperma, ma senza alcuna garanzia di trovare lì particolato.

 

Esistono terapie per eliminare le nanoparticelle dall’organismo?

No. L’unica possibilità è la prevenzione, almeno ad oggi. Tempo fa io stesso comunicai di un caso eccezionale (cioè che faceva eccezione) di un malato di SLA guarito con una terapia chelante. Alla luce dei casi che hanno fatto seguito a quello e delle analoghe terapie fallite, temo che in quel caso ci sia stato un errore da parte dei medici che diagnosticarono la patologia e che, dunque, si trattasse di altro. Prima che Beppe Grillo ci portasse via il microscopio stavamo lavorando su possibilità terapeutiche. Ora, andate a chiedere a Grillo, perché la responsabilità ora è sua.

 

È possibile dare un’occhiata tramite il microscopio elettronico a dei reperti (gratis)?

No: le analisi sono a pagamento (vedi la sezione Conferenze e Convegni).

 

È possibile dare un’occhiata gratis a dei documenti?

No: le consulenze sono a pagamento (vedi la sezione Conferenze e Convegni e vedi sopra.)

 

È possibile organizzare una conferenza gratis?

No: le conferenze servono a raccogliere fondi per la ricerca e, dunque, sono a pagamento (vedi la sezione Conferenze e Convegni). Per le conferenze gratuite ci si rivolga al rag. Giuseppe Grillo o all’Associazione Onlus Carlo Bortolani.

 

Esistono altri laboratori che eseguano le stesse indagini vostre?

No.

 

Quanto sono grandi le nanoparticelle?

Non esiste una definizione universale delle dimensioni delle nanoparticelle. Ogni disciplina ha la sua e, nell’ambito di ogni disciplina, ogni ricercatore si regola come crede. In linea di massima, per essere nano, una particella deve essere sotto il micron di dimensione, e questo è il criterio che usiamo noi. Altre definizioni (la più comune è che le nanoparticelle sono al massimo grandi 100 nanometri) sono perfettamente legittime ma sono meno pratiche per quanto riguarda le nanopatologie.

 

Qual è la distanza di sicurezza da un inceneritore (cementificio, centrale turbogas, centrale a biomasse, ecc.)?

Non esiste una distanza definibile “di sicurezza”. Tenendo in debito conto la direzione dei venti e la situazione meteorologica, la concentrazione di particolato sospeso in atmosfera decresce con l’aumentare della distanza, ma non esiste alcuna concentrazione che possa essere definita “tollerabile”.

 

È più dannoso alla salute il traffico automobilistico o un inceneritore?

La domanda ha poco senso, anche se si sentono “scienziati” disquisire in generale sul tema e, ancor di più, si sentono dei politici. La risposta può esistere solo valutando caso per caso perché occorre essere a conoscenza di un grande numero di parametri (geografia ed orografia della città, dimensione, situazione meteorologica, quantità di traffico, qualità del traffico [proporzione tra l’uso dei diversi tipi di carburante e distinzione fra traffico pesante e traffico leggero], quantità di rifiuti bruciati, qualità dei rifiuti, distanza dell’inceneritore dalla città, ecc.) In generale, la differenza più vistosa che c’è tra i due tipi di origine è nella composizione chimica delle particelle: quelle dell’inceneritore sono molto più complesse perché nell’impianto si trattano quasi tutti gli elementi esistenti.

 

Gl’inceneritori di ultima generazione sono meno pericolosi di quelli vecchi?

No. In effetti gl’inceneritori più recenti producono meno diossine ma particelle molto più piccole e, per questo, molto più pericolose di quelle più grossolane generate dai vecchi impianti.

 

È vero che l’efficienza dei filtri degl’inceneritori è del 99,99%?

L’efficienza di un filtro di quel genere è misurata in massa. Poiché una particella da 10 micron pesa come un miliardo di particelle da 0,01 micron, se io misuro l’efficienza in termini di peso (o di massa, il che, in pratica, è l’identica cosa) ho che, bloccando una particella da 10 e lasciandomene sfuggire una da 0,01 l’efficienza risulta essere del 99,99999999%. Il che non ha alcun significato perché sono le particelle nanometriche quelle insidiose per la salute e sono anche quelle di gran lunga più numerose. Se l’efficienza venisse misurata tenendo conto del numero e dell’inverso del volume come sarebbe ragionevole fare, l’efficienza risulterebbe quasi zero.
Si tenga poi conto che i filtri intervengono solo sulla frazione chiamata, appunto, filtrabile, cioè le polveri primarie che si formano immediatamente laddove si brucia. Sulle polveri primarie condensabili e sulle secondarie, che sono di gran lunga soverchianti rispetto alle filtrabili, i filtri non possono intervenire.
Infine, la solita domanda imbarazzante: che ne fa di quel po’ di polveri che ha catturato?

 

Perché te la prendi con gl’inceneritori e non altrettanto con le altre fonti d’inquinamento?

Perché tra tutte le fonti inquinanti, e sono tante, l’inceneritore con tutte le sue varianti è l’unica a non avere alcuna utilità e a non avere una base scientifica su cui reggersi.

 

Quanti sono gl’inceneritori in Italia?

E chi lo sa? Ufficialmente poco più di una cinquantina, ma in quel numero non sono calcolati gl’inceneritori privati dedicati al trattamento dei rifiuti di un’industria particolare, quelli presso gli ospedali e i cementifici che sono autorizzati a bruciare rifiuti, e sono tanti. In più ci sono le centrali a biomasse che, nei fatti, sono inceneritori. Un tentativo di conoscere il numero degl’impianti, dove siano ubicati, che cosa brucino e quanto era stato fatto tempo fa tramite un’interrogazione che io scrissi per il senatore Nando Rossi, interrogazione alla quale il governo si guardò bene dal rispondere.

 

È vero che il THOR è la soluzione del problema dei rifiuti?

No. Dal punto di vista della produzione di nanoparticelle non ho elementi, visto che non mi è mai stata data la possibilità di allestire analisi. Ma nemmeno quel sistema è capace di eliminare i rifiuti. Purtroppo il principio di conservazione della massa nonè aggirabile.

 

È vero che la torcia al plasma è la soluzione del problema dei rifiuti?

No. Come per il THOR, dal punto di vista della produzione di nanoparticelle non ho elementi, visto che non mi è mai stata data la possibilità di allestire analisi. Di torce al plasma ne esistono pochissime al mondo e quelle poche servono per un solo tipo di rifiuto molto selezionato. Dunque, sono del tutto inadatte a trattare rifiuti solidi urbani.

E’ vero che i “dissociatori molecolari” non inquinano?

L’idea è destituita di ogni fondamento. Di seguito un comunicato del 4 marzo 2011:

L’agenzia per la protezione ambientale scozzese SEPA, l’equivalente della nostra
ARPAT, ha fornito al Coordinamento Gestione Corretta Rifiuti Valdera il suo 4°
rapporto sull’inceneritore di Dumfries, l’impianto realizzato in Scozia referenza
industriale di quello che ECOFOR vorrebbe realizzare a Gello di Pontedera, dal quale
risulta che ad Ottobre 2010 il “dissociatore molecolare” ha superato di ben 39 volte
i limiti di emissioni di mercurio e del 20% di diossine e furani.
Nel 2010 l’impianto di Dumfries ha lavorato per 3.500 ore sulle 8.000 ore previste,
incenerendo appena 10.000 tonnellate sulle 60.000 tonnellate previste, non potendo
far funzionare correttamente il sistema di rimozione delle ceneri dalle camere di
gassificazione e non riuscendo mai a produrre energia elettrica a causa di un grave
problema di progettazione. Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, la SEPA
non ha avuto la possibilità di valutare la concentrazione di metalli a causa di
problemi tecnici avuti dal gestore dell’impianto e, sia a novembre che a dicembre
2010, non ha potuto prelevare campioni di suolo da esaminare a causa della presenza
di ghiaccio. Ad ottobre 2010 è stata però riscontrata la presenza nell’ambiente di
tutti i tipici elementi inquinanti prodotti dagli inceneritori ed i risultati di
tali esami certificano il superamento dei valori massimi di mercurio (1.95 mg/m3
contro un limite massimo di 0.05 mg/m3)  e di diossine/furani (0.12 ng/m3contro un
limite massimo di 0.1 ng/m3) dando ancora più valore alla preoccupata lettera dei
165 medici della Valdera pubblicata pochi giorni fa.
Come è noto, sia il mercurio che le diossine ed i furani sono sostanze estremamente
tossiche e bioaccumulanti. Il mercurio ha effetti negativi sullo sviluppo
neurologico, sul sistema cardiovascolare, sul sistema immunitario e sull’apparato
riproduttivo oltre a ritardare l’attività microbiologica dei suoli, è persistente e,
nell’ambiente, può trasformarsi in metilmercurio, la forma più tossica di questa
sostanza. Le diossine ed i furani sono sostanze estremamente cancerogene e mutagene
per l’organismo umano, causano danni al sistema immunitario, al sistema
riproduttivo, all’apparato ormonale. Fra le principali malattie causate da tali
inquinanti si evidenziano i tumori al fegato, alla laringe, sarcomi ai tessuti
molli, cancro ai polmoni e le neoplasie infantili il cui rischio è statisticamente
significativo per i bambini nati entro 1 Km dalla fonte di emissione.
Alla luce dei nuovi dati non possiamo che ribadire, con ancor più forza, la nostra
contrarietà al progetto di un inceneritore e di un’altra discarica proposto da
Ecofor, evidenziando l’estremo rischio sanitario oltre che economico. Non è chiaro
poi che senso possa avere avviare, come dichiarato recentemente, una nuova
sperimentazione di tale inceneritore a Peccioli quando ne esiste già uno in Scozia
che non solo non funziona ma emette anche mercurio, diossine e furani fuori dai
limiti di legge oltre, come si può immaginare, ad aver portato all’azienda scozzese
che gestisce l’impianto grossi problemi economici dovuti ai mancati introiti
conseguenti ai problemi tecnici. Semplicemente il progetto di ECOFOR va ritirato,
fermando la procedura di VIA attualmente “congelata” in Provincia.
Il CGCRV ha proposto un documento dove si elencano possibili alternative per una
gestione corretta dei rifiuti, che va nella direzione indicata dall’Europa di
ridurre, riutilizzare e riciclare prima di bruciare o addirittura sotterrare i
rifiuti. Siamo ancora una volta disponibili a valutarle insieme ai soggetti
istituzionali e alle imprese del territorio, per non restare ancorati al passato e
guardare al futuro, per trattare le quantità di rifiuti generate dalla Provincia di
Pisa creando nuovi posti di lavoro ad un costo decisamente inferiore ai 44 milioni
di Euro necessari per l’inceneritore e ai 20 milioni per la discarica in progetto.

Per approfondire le alternative al progetto Ecofor e per conoscere le iniziative del
CGCRV ci si può collegare al sito http://www.cgcrvaldera.it dove è possibile
reperire anche il 4° rapporto SEPA.

Quando sentirete un politico che auspica la messa in opera dei cosiddetti dissociatori molecolari, sappiate che si tratta di qualcuno che, se riuscirà nel suo intento, otterrà un po’ di denaro sottobanco.

 

Che cos’è l’uranio impoverito?

Pur accettando il dato di fatto che macchinazioni globali per manipolare la percezione popolare di determinati fenomeni esistono e sono condotti da professionisti abilissimi, io sono sempre abbastanza prudente nell’attribuire a “cosche planetarie” – dalla massoneria all’Opus Dei, dalle Sette Sorelle alle multinazionali del farmaco – tutti i mali del mondo.

Sull’argomento uranio impoverito (comunemente DU, da Depleted Uranium) – qualcosa che mi tocca molto da vicino – però, il sospetto non può non esistere.

Che cosa sia questo DU e come funzioni nelle sue applicazioni sono fatti tutto sommato di grande semplicità, certo più semplici delle regole del baseball o di certi reality show. Eppure la confusione popolare, e non solo popolare, è enorme.

A costo di ripetermi per l’ennesima volta e a costo di semplificazioni su cui qualche addetto ai lavori non perderà occasione di vestire i panni dello snob storcendo il naso, vedrò di chiarire l’argomento. Semplificazioni ho detto, ma niente che non sia scientificamente accettabile.

Che cos’è l’uranio impoverito – L’uranio in quanto tale è un metallo radioattivo che si trova allo stato naturale come ossido o sale in due minerali: la pechblenda e la carnotite. L’elemento esiste principalmente sotto forma di tre isotopi[1]: il 238, che costituisce circa il 99,7% del totale, il 234 che rappresenta una frazione irrisoria, e il 235 che vale circa lo 0,7%.

Perché l’uranio possa essere usato a scopi di produzione energetica o per costruire una bomba atomica occorre aumentare di parecchio la frazione 235, cosa che viene fatta tecnicamente togliendo questo isotopo da grandi quantità di uranio “normale” (formato, come abbiamo visto, da 238 + 235 + 234) e immettendo quel 235 in una quantità relativamente piccola di uranio “normale”. In questo modo, in quella relativamente piccola quantità la proporzione di 235 risulterà molto maggiore, addirittura enorme nel caso della bomba atomica, del suo 0,7% “normale”. Questo è l’uranio arricchito di cui tanto spesso i media hanno parlato a proposito delle centrali nucleari iraniane o di quelle nord-coreane.

Ciò che resta dall’uranio cui è stato sottratto l’isotopo 235 è il cosiddetto uranio impoverito, il DU di cui ci stiamo occupando.

Che cosa si fa con l’uranio impoverito –  Spolpato l’uranio del suo prezioso isotopo 235, il problema è: che fare di questo metallo radioattivo ormai inutile sia per fabbricare bombe atomiche sia per spremerne energia?

Per il suo costo bassissimo o addirittura nullo e approfittando del suo altissimo peso specifico (pesa più o meno 19 volte più dell’acqua e circa due terzi più del piombo) si facevano o si fanno ancora, per esempio, contrappesi per ascensori e stabilizzatori sia per scafi da competizione sia per aerei commerciali, oppure si fanno schermi contro le radiazioni dei raggi X o strumenti per le perforazioni petrolifere.

Ma le quantità di rifiuto in ballo sono enormi e questi sbocchi permettono di “smaltire” (virgolette d’obbligo) percentuali minime del totale.

Una maniera tanto truffaldina quanto comune per liberarsi di questo prodotto di scarto imbarazzante è adulterare alcuni minerali come, per esempio, quelli di ferro, ma anche con questo sistema ne restano sempre quantità molto rilevanti. E, allora, ecco che i militari danno una mano.

Usi militari dell’uranio impoverito – Durissimo com’è, il DU si è dimostrato adattissimo per costruire corazze a protezione dei carri armati, ma altrettanto adatto si è dimostrato per fabbricare proiettili.

Il perché è presto detto. Si tratta di un metallo non solo pesantissimo ma, come accennato, dotato di grande durezza e che, dunque, per queste sue caratteristiche penetra molto bene all’interno dei bersagli usuali in guerra. Ma il grande vantaggio è la sua piroforicità, vale a dire la sua capacità di sviluppare un calore elevatissimo (un po’ oltre i 3.000 °C) quando arriva con una velocità sufficiente a sbattere contro il bersaglio. In questo modo la penetrazione è eccellente e l’effetto devastante, che è quanto si cerca in guerra, è enorme.

L’esercito americano fu il primo ad applicare l’uranio ai proiettili, e gli esperimenti risalgono alla fine degli Anni Settanta, come testimoniato da un documento ufficiale che riporta le prove effettuate al poligono di Eglin (Florida)[2].

Ufficialmente l’esercito italiano non ha in dotazioni armi all’uranio impoverito ma, come è noto o come dovrebbe essere noto, sul nostro territorio ci sono zone in cui eserciti che non sono quello italiano e fabbricanti di armi provano prodotti sulla cui natura noi non veniamo informati. Dunque, il sospetto che armi al DU siano usate in Italia appare legittimo. Non così la certezza.

In Sardegna, al Salto di Quirra, da oltre 50 anni esiste il poligono più grande d’Europa e in zona si verificano casi di tumori e di malformazioni fetali sia nell’uomo sia nell’animale che, per quantità e qualità, stanno finalmente attirando l’attenzione (ma si sta già tentando d’insabbiare il tutto). Se è vero che alcuni giornali attribuiscono gli eventi all’uso di armi al DU, nessuno dispone di prove consistenti al proposito.

Che cosa accade quando si usa un proiettile all’uranio impoverito – Fin dalle prime prove i tecnici militari statunitensi si accorsero che l’altissima temperatura sviluppata dall’impatto tra proiettile e bersaglio generava un aerosol di particelle solide volatili di dimensioni estremamente piccole, e altrettanto immediatamente, pur senza averne esperienza, ipotizzarono l’aggressività per la salute di queste polveri che potevano essere facilmente inalate.

Per molti anni, però, quel documento scomparve e le armi al DU cominciarono ad essere impiegate da eserciti che ne negarono, tuttavia, l’uso quando iniziarono a sorgere i primi sospetti. Se ora, a “confessione” avvenuta, sappiamo più di qualcosa degli esperimenti e dei loro risultati pratici da parte delle forze armate USA, poco o nulla si sa per quanto riguarda quello che allora era l’altro schieramento, l’esercito, cioè, che gravitava intorno all’Unione Sovietica.

Dunque, il proiettile parte e colpisce il bersaglio, di solito oggetti chimicamente compositi. Si sviluppa una temperatura molto alta (come detto, poco più di 3.000 °C) e la parte più vicina al punto d’impatto, quella in cui il calore è maggiore, sublima, il che significa che si trasforma da solida in vapore. Questo vapore, però, entra velocemente in contatto con l’atmosfera di gran lunga più fredda e ricondensa sotto forma di particelle solide di dimensioni finissime, sotto il micron (un micron equivale ad un millesimo di millimetro).

Ma mano a mano che ci si allontana dal punto d’impatto, il calore diminuisce. Così, per una certa distanza, la sublimazione sarà solo parziale, fino a che, allontanandosi, la temperatura sarà troppo bassa per far sublimare la materia ma abbastanza alta per formare polveri sottili; non sottili, però, come quelle generate dalla condensazione dei vapori.

Le polveri che si formano hanno caratteristiche particolari. Quelle di condensazione sono sferiche e cave al loro interno e la loro composizione è quella di leghe del tutto casuali. Il motivo di questa casualità di composizione è dovuta al fatto che i vapori constano della scomposizione del materiale che costituisce il bersaglio e di quello di cui è fatto il proiettile e la condensazione avviene tra elementi che s’incontrano in quel momento per caso.

Le polveri formatesi non per condensazione ma per fusione del materiale che costituisce il bersaglio sono meno sottili, sono molto fragili, sono ugualmente sferiche e cave e hanno una composizione che può essere meno casuale e più vicina a quella del bersaglio.

Le polveri che si formano nelle zone più fredde sono, invece, più grossolane e hanno forme irregolari.

Va da sé che più una polvere è piccola per dimensione, più viene facilmente trasportata dagli agenti atmosferici, e questo è quanto accade alle particelle di cui ci stiamo occupando.

In termini di volume l’uranio che entra in queste reazioni è pochissimo e, stante il suo peso specifico estremamente elevato, tende a cadere entro raggi piuttosto ridotti cosicché, dunque, la sua volatilità risulta minima. Dunque, il numero di particelle che non contengono uranio è immenso rispetto a quelle che, in effetti, lo contengono e che, per di più, sono ritrovabili solo nell’intorno dell’impatto.

A complicare un po’ le cose ci stanno le applicazioni presunte di una scoperta fatta negli Anni Trenta da parte di Percy Williams Bridgman, applicazioni che, se effettivamente messe in opera, porterebbero ad ottenere effetti paranucleari, vale a dire in qualche modo simili, seppure in scala parecchio più ridotta, ad un’esplosione atomica. Io non ho intenzione qui di entrare nell’argomento che esula dallo scopo di questo articolo pur se il suo interesse è enorme. Chi vuole saperne di più può guardarsi i filmati di una conferenza tenuta dal professor Emilio Del Giudice il quale, con estrema semplicità e chiarezza, illustra il fenomeno[3].

Che cosa accade a chi entra in contatto con l’uranio impoverito – La radioattività dell’uranio è nota sin dalla fine dell’Ottocento, e che la radioattività sia dannosa all’organismo è fatto universalmente noto su cui non vale la pena perdere tempo.

Occorre riferire, però, che non risultano (sempre che i dati non siano taroccati, cosa impossibile da escludere) malattie a carico di chi fabbrica le armi al DU, e noi, che di biopsie patologiche di militari reduci da teatri di guerra ne abbiamo controllate all’incirca duecento, non vi abbiamo mai trovato tracce di radioattività. Per sicurezza, abbiamo anche fatto ripetere quel tipo d’indagine su diversi campioni all’Università della Tuscia ottenendo lo stesso risultato.

Quello, invece, che si trova in quei reperti è altro.

A cavallo tra il 1997 e il 1998 noi scoprimmo che le polveri sottili ed ultrasottili solide, inorganiche, insolubili e non biodegradabili possono entrare nell’organismo sia per inalazione sia per ingestione[4] dopo essere cadute su frutta, verdura e cereali[5]. Inalate o ingerite che siano, queste particelle entrano con grande velocità nel sangue per essere trasportate in ogni distretto dell’organismo. Già nel sangue, almeno in una frazione della popolazione, le nanoparticelle inducono la formazione di trombi, cioè di coaguli di sangue[6],[7]. Raggiunta la loro meta, impossibile da determinare a priori, queste vengono imprigionate dall’organo bersaglio per non essere mai più eliminate, non disponendo il nostro organismo di alcun meccanismo utile allo scopo.

Corpi estranei che sono, dopo essersi concentrate in determinati punti dell’organo nel quale sono finite, le particelle provocano la classica reazione infiammatoria con l’induzione conseguente della formazione di un tessuto (tessuto di granulazione) che va a circondarle[8]. A questo punto, così come descritto in centinaia di articoli medici, quel tessuto può trasformarsi in un cancro, il che è esattamente ciò che noi vediamo nelle biopsie dei militari. E che il cancro abbia tra le sue origini le forme infiammatorie è un fatto ampiamente assodato[9].

Il motivo per cui non si trova uranio nelle particelle individuate nei tessuti patologici è quello di cui dicevo sopra: l’uranio è pochissimo e cade molto vicino al bersaglio senza entrare in grande stile atmosfera e, dunque, senza essere inalato né ingerito perché frutta, verdura e cereali non sono più coltivati intorno al punto d’esplosione, se mai lo erano prima. Le polveri di composizione casuale, invece, sono in grado di coprire parecchi chilometri e, per questo, di entrare anche in organismi di persone che si trovano relativamente lontane dal luogo in cui è avvenuta l’azione bellica.[10]

Insomma: l’uranio non è l’assassino ma il mandante. Da qui nasce una grande confusione, perché l’uranio non si trova nei reperti patologici e, dunque, viene scagionato da chi non conosce la catena degli eventi o finge di non conoscerla. Deve essere chiaro, invece, che l’uranio è all’origine del fenomeno e, se non se ne trovano tracce nei campioni di tessuto è proprio per le sue proprietà chimico-fisiche.

Si deve aggiungere, però, che esistono altri materiali che possiedono caratteristiche tutto sommate analoghe a quelle del DU. Tra queste il tungsteno, un metallo che, addirittura, innesca temperature intorno ai 5.000 °C ma che viene usato pochissimo almeno per due motivi: costa caro e non è un buon penetratore.

Che cosa sono le nanoparticelle – Ogni combustione – e le esplosioni sono combustioni rapide e violente – produce polveri e queste sono classificate a seconda di più di un punto di vista, in parecchi modi diversi, uno dei quali è per dimensione. Come tutte le classificazioni, anche in queste c’è moltissimo di arbitrario, il che non significa che le varie classificazioni non siano valide e non debbano essere accettate. Basta solo capire di che cosa si sta parlando e quale sia il suo significato.

Per quanto riguarda le nanoparticelle, di solito s’intendono per tali entità che vanno dai 2 nanometri (un nanometro è un miliardesimo di metro) ai 200 nanometri, ma, anche in questo caso, l’intervallo dimensionale e i suoi limiti sono una pura convenzione.

Quando si parla di nanopatologie, cioè di malattie da micro- e nanopolveri, è più opportuno intendere per microparticelle quelle che vanno dal micron in su, fino a qualche decina di micron (un micron è un milionesimo di metro), e per nanoparticelle quelle di misura inferiore. Questo per vari motivi, uno dei quali, puramente notarile, è che non si saprebbe come classificare le particelle che stanno tra i 201 e i 999 nanometri. Ma la cosa, in fondo, è di nessuna importanza. Una volta che si sia dichiarato che cosa s’intenda in un determinato discorso con una determinata parola, non ci si deve più perdere tempo sopra.

Va, poi, considerato il fatto che le nanoparticelle possono avere origine da microparticelle formatesi a caldo che si rompono a causa della loro fragilità, e, comunque generatesi, tendono pure ad agglomerarsi, formando, così, entità complesse di dimensioni nettamente superiori a quelle dei componenti. Questo comportamento è evidente anche all’interno dell’organismo dove accade spesso che nanoparticelle formino agglomerati.

Insomma, il comportamento di queste piccole entità è qualcosa di piuttosto complicato e molto c’è ancora da scoprire in proposito.

Fatti e opinioni – Tutto quanto descritto finora è una lista di fatti.

Per una lunga serie di motivi che trovano la loro principale ragion d’essere nei quattrini – e tanti – esistono interessi che, per sopravvivere fino a prosperare, hanno bisogno di nascondere ciò che dal punto di vista meramente scientifico è di una semplicità e di una logica elementari.

E, allora, ecco che si ricorre ad un piccolo repertorio di espedienti tanto antichi quanto efficaci. La prima cosa che si fa è confondere i fatti con le opinioni.

Mentre, volendo essere onesti, l’opinione dovrebbe di diritto essere l’interpretazione e la discussione di un fatto visto da punti d’osservazione e d’interesse diversi, il tutto al di fuori della certezza di quanto si esprime, qui l’opinione diventa la distorsione o la negazione fino al nascondere del tutto l’esistenza stessa dei fatti. Ad aggravare la questione, è molto frequente che un’opinione sia fatta passare per un fatto e viceversa. Dunque, il grande pubblico, quello che non possiede le nozioni necessarie per discernere fatti da opinioni, diventa preda facile di chi di mestiere manipola i cervelli, figure professionali impiegate di prassi da centri d’interesse importanti.

La seconda mossa è quella di mettere a libro paga qualche “luminare” disposto, in cambio di qualcosa che non sempre e non solo può essere denaro, a prestare il suo “lei non sa chi sono io” allo scopo. Chi conosce la letteratura di anni passati spacciata per scientifica e pubblicata anche da riviste prestigiose a proposito di amianto, diossine, piombo tetraetile, cloro-fluoro-carburi, ecc., che ne “dimostravano” l’innocuità, dimostratasi poi fasulla come era già noto agli scienziati veri, sa di che cosa stiamo parlando. E, a contorno di questi “luminari” che, comunque sia, erano un tempo e sono anche ora persone che bazzicano intorno all’argomento, si crea tutta una serie di personaggi minori, quasi sempre completamente estranei a ciò di cui si tratta, trasformati mediaticamente in esperti.

Va da sé che per il DU non poteva che accadere la stessa cosa.

Ecco, allora, che gli Stati Uniti, che non volevano assolutamente che delle malattie ormai impossibili da nascondere a carico dei reduci dalle Guerre del Golfo fossero accusati gli armamenti al DU, finanziarono ricerche su certi pesticidi o altri prodotti chimici che venivano irrorati sulle tende da campo. Oltre che dispendioso, il tentativo si rivelò anche piuttosto ingenuo perché quelle sostanze non erano mai state usate da altri eserciti i cui soldati si ammalavano delle stesse malattie.

Ora, almeno in Italia, si sta tentando un’operazione analoga lanciando stavolta i vaccini come colpevoli delle malattie cosiddette “da uranio impoverito”. Che i vaccini contengano sostanze non propriamente benefiche alla salute è qualcosa d’innegabile. Noi stessi vi abbiamo reperito in più occasioni particelle metalliche che proprio non dovrebbero esserci. In aggiunta, ai militari che partono per le zone di guerra si somministrano contemporaneamente non pochi vaccini contro le malattie più disparate e l’organismo non è certo in grado di reagire in maniera corretta a questi attacchi. Tuttavia non è stata fornita alcuna spiegazione di come quei vaccini possano innescare un cancro, la classe di malattie più comunemente indicata come “da DU”. Per farlo occorre individuare la sostanza comune a tutti i vaccini somministrati che s’intende incriminare o, magari, si può individuare un gruppo di sostanze. Di questa o di queste va illustrata la farmacocinetica, cioè il loro meccanismo d’assorbimento, la loro distribuzione, le loro trasformazioni all’interno dell’organismo ed, eventualmente, la loro eliminazione o mancata eliminazione. Se le sostanze in ballo sono più d’una, è opportuno considerare almeno la loro reciproca eventuale interazione. Nulla di tutto ciò è stato fatto e la tesi resta appesa a vagamente grotteschi “lei non sa chi sono io”. A questo va ad aggiungersi un fatto che, da solo, dovrebbe far cestinare l’idea: di quelle malattie si ammalano anche i civili che abitano in zone di guerra e che mai sono stati vaccinati. Per di più si ammalano pure gli animali da reddito la cui vaccinazione somministrata con le modalità di quelle applicate ai militari risulta tutta da dimostrare. Per concludere, non esiste letteratura scientifica che arrivi a conclusioni secondo cui i vaccini inducano cancro, mentre ne esiste, pur essendo ancora in fase di discussione, non poca altra che incolpa i vaccini di aver indotto autismo o, con minore gravità ma con maggiore frequenza, difficoltà di apprendimento nei bambini. Dunque, nel caso specifico una bufala e basta nella quale possono cadere solo coloro che hanno interesse a caderci. Resta tuttavia acuto il problema delle vaccinazioni con i farmaci usati ora e, nel caso specifico, con le modalità applicate per i militari. Se questi farmaci non possono a rigor di scienza essere accusati delle patologie cosiddette “da DU”, la loro innocuità presta il fianco a più di un dubbio.

In tutto questo caos, a mio parere tutt’altro che casuale e involontario, una responsabilità pesante ce l’hanno i giornalisti. Facendo qui d’ogni erba un fascio, magari ingiustamente perché qualche rara eccezione esiste, se si va a leggere ciò che questi scrivono o ciò che questi raccontano nelle varie TV c’è davvero di che rabbrividire. Eppure a me è capitato in più di un’occasione di veder citati come documenti affidabili proprio articoli di giornali a dir poco abissi di equivoco e d’ignoranza. Tralasciando svarioni come confondere infiammazione con infezione, tanto per citare solo uno degli errori macroscopici in cui questi professionisti cadono allegramente, per non pochi di loro la parola “molecola” può essere un sinonimo di particella, quando la particella in questione è quella uscita, per esempio, da un’esplosione o dall’incenerimento di rifiuti. In realtà si tratta di entità diversissime che non possono essere confuse se si pretende una qualche credibilità, cosa che, a quanto pare, viene concessa ugualmente.

Ma anche i “professori” non sono proprio innocenti. Pochi giorni fa mi è capitato di partecipare come semplice spettatore ad un convegno tenutosi all’Università di Bologna che aveva per tema la percezione che la gente comune ha del problema del DU. Chi illustrava l’argomento erano, ovviamente, professori universitari. Come sempre io mi astengo dal giudicare tutto ciò che riguarda la percezione perché questo esula dalla mia competenza, ma posso assicurare che le sciocchezze tecniche che sono uscite erano davvero degne di un bar o di un blog Internet.

Differenza di comportamento tra atomo e particella – Uno degli elementi di confusione più frequenti è quello di pasticciare tra il comportamento di un elemento chimico in stato atomico o ionico o legato con una molecola organica ed il comportamento di quello stesso elemento quando si trova sotto forma di nano- o microparticella. Si tratta di condizioni non poco diverse che dovrebbero essere chiare almeno a chi si occupa di tossicologia. E, invece, così non è.

Sempre per non complicare troppo le cose, visto che mi sto indirizzando ad un pubblico di non addetti ai lavori, prendiamo come esempio un elemento chimico notissimo per la sua tossicità: l’arsenico. Questa sostanza viene assorbita sia a livello dei polmoni sia a livello dell’apparato gastrointestinale e può provocare una lunga serie di patologie tanto acute quanto croniche tali da poter portare alla morte.

Le particelle di cui noi ci occupiamo, però, hanno un comportamento in parte diverso rispetto agli elementi di cui sono costituite. Per prima cosa, come abbiamo visto per le esplosioni da DU e come avviene in tantissime altre occasioni (per esempio negl’inceneritori di rifiuti), le particelle che si formano sono composte da diversi elementi (noi ne abbiamo trovati fino a quindici in particelle di diametri piccolissimi) e questi elementi si trovano con grandissima frequenza sotto forma di lega.

Il primo fattore di aggressività esplicato dalle particelle non è dovuto alla loro composizione chimica ma al loro essere corpi estranei, e questo qualunque ne sia la composizione. Per rendere la cosa più comprensibile, immaginate di trovarvi di fronte ad una pallottola sparata da un’arma e immaginate che questa pallottola vi trapassi il cuore uccidendovi. La morte sopravverrà qualunque sia la composizione del proiettile, sia esso d’acciaio, di tungsteno, di piombo, di ferro o di qualunque altro elemento o combinazione d’elementi con una consistenza sufficiente. Ciò che vi ha ucciso è stata la capacità della pallottola di perforare il cuore e non la sua composizione.

Importantissima nel caso delle particelle è la loro dimensione: più è piccola, più la particella è mobile e penetrante, fino a riuscire ad insinuarsi nel nucleo delle cellule.

Anche la forma conta parecchio: una costituzione irregolare come quella che risulta dalle particelle sferiche che si rompono andando in mille pezzi è più penetrante rispetto ad una particella tonda integra.

E, tra i molti fattori di aggressività, esiste pure, finalmente, quello caro ai tossicologi un po’ meno aggiornati degli elementi di cui la particella è formata, specie se la particella viene corrosa. Dunque, se c’è arsenico nella particella, è possibile che la sua tossicità caratteristica si ritrovi nel soggetto colpito.

L’errore fondamentale del tossicologo classico, quello che ignora la disciplina chiamata econanotossicologia (una disciplina che costituisce una punta avanzata della tossicologia) è quello di non capire, per difetto di conoscenza, la differenza tra elemento e particella, cadendo così in confusione e trascinando nella sua stessa confusione chi si fidi di lui. Oggi sono in corso studi di econanotossicologia di grande interesse e su questi si tengono convegni e congressi in tutto il mondo scientificamente avanzato. La speranza è che i risultati, definitivi o di lavori in corso che siano, arrivino alla conoscenza sia dei tossicologi di routine sia, magari semplificati ma rigorosamente corretti, del grande pubblico.

Conclusione – Come accade per molti temi critici, il pubblico medio, in soverchiante condizione di maggioranza numerica, è facilmente manipolabile con la somministrazione di notizie distorte o censurate. Chi conosce la mente umana sa bene che questa accetta di buon grado tutto quanto la tranquillizza e rifiuta, di contro, ciò che, pur scientificamente ineccepibile, ne turba i sonni. Ecco, allora, che il rischio antico e ripetuto ormai all’infinito di cadere preda dei venditori di terni al lotto, di sali contro il malocchio o di  “non è successo niente” diventa pericolo reale. Ancora una volta l’unica arma di legittima difesa di cui disponiamo è la conoscenza unita, magari, alla serenità critica.

Articolo pubblicato su Il Democratico:

http://ildemocratico.com/2011/04/11/esclusivo-tutta-la-verita-sulluranio-impoverito-part-1/

http://ildemocratico.com/2011/04/15/esclusivo-tutta-la-verita-sulluranio-impoverito-part-2/

 


[1] Semplificando molto, un atomo è costituito da un nucleo e da entità molto più piccole che al nucleo ruotano intorno. Il nucleo è composto da particelle subatomiche (niente a che vedere con le particelle fini ed ultrafini di cui parleremo nell’articolo) chiamate protoni che hanno una carica elettrica positiva, e intorno al nucleo ruotano particelle molto più piccole dei protoni chiamate elettroni la cui carica elettrica è negativa. Per equilibrare le cariche, protoni ed elettroni sono pari per numero. Il nucleo, però, ospita anche altre particelle, stavolta senza carica elettrica, chiamate neutroni. Questi possono essere in numero variabile. Si chiama isotopo, allora, ciascuno degli atomi di uno stesso elemento chimico con lo stesso numero di protoni e di elettroni ma con un differente numero di neutroni. Per esempio l’idrogeno, l’atomo più piccolo e più comune dell’universo, non ha normalmente alcun neutrone. Se, abbastanza eccezionalmente, capita che ne abbia uno, si ha l’isotopo chiamato deuterio. Se i neutroni sono due, l’isotopo è il trizio.

 

[2] Technical report of the Air Force Armament Laboratory – Armament development and test Center, Eglin Air Force Base, Florida, USA, From October 1977 to October 1978, Project n° 06CD0101 https://www.stefanomontanari.net/sito/images/pdf/eglin.pdf

[3] Ricerca scientifica e nuove armi (Parte 1) http://www.youtube.com/watch?v=8o6djrFAwUw
Ricerca scientifica e nuove armi (Parte 2) http://www.youtube.com/watch?v=uDepTKzvTaQ
Ricerca scientifica e nuove armi (Parte 3) http://www.youtube.com/watch?v=k15-HcAm_6I

[4] A.M. Gatti, M. Ballestri, A. Bagni, Granulomatosis associated to porcelain wear debris,  American Journal of Dentistry  2002, 15(6): 369-372

[5] A.M. Gatti, D. Tossini, A. Gambarelli, S. Montanari, F. Capitani – Investigation of the Presence of Inorganic Micron- and Nanosized Contaminants in Bread and Biscuits by Environmental Scanning Electron Microscopy – Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 49:275-282 (2009)

[6] A.M. Gatti, S. Montanari, Retrieval analysis of clinical explanted vena cava filters J. of Biomedical Materials Research: Part B. 77B, 307-314, 2006             IF 2.105

[7] A.M. Gatti, S. Montanari, A. Gambarelli, F. Capitani, R. Salvatori In-vivo short- and long-term evaluation of the interaction material-blood Journal of Materials Science Materials in Medicine, 2005, 16, 1213-19

[8] A.M. Gatti, S. Montanari Risk assessment of micro and nanoparticles and the human health, capitolo di  H.S. Nalwa – Handbook  of  Nanostructured biomaterials and their applications – American Scientific Publisher USA 2005, cap. 12, 347-369

[9] A.M. Gatti, S. Montanari “Nanopathology” Ed. Pan Stanford 2008, ISBN 10-9814241008

[10] A.M. Gatti, S. Montanari – Nanocontamination of the soldiers in a battle space – capitolo di I. Linkov e J. Steevens (eds.) – Nanomaterials: Risks and Benefits – Springer Science  + Business Media B.V. 2009 – pagg. 83 – 92

 

Che cosa c’è nelle scie chimiche?

Questa è una domanda che per me è diventata un tormentone. Se non mi si danno da analizzare campioni di scia prelevati direttamente, cioè nella scia stessa, non posso dire nulla. I campioni presi a terra non hanno alcun valore perché non esiste prova sostenibile che appartengano ad una scia. Negli anni ho analizzato reperti che mi si giurava provenissero da scie chimiche. Alla prova dei fatti altro non erano se non normalissima polvere ambientale. Perciò prego tutti di non chiedermi niente in proposito a meno che non si disponga di campioni presi direttamente sulla scia e che io possa analizzare. Quanto alle malattie eventualmente collegate alle scie chimiche, non ne so assolutamente nulla per le ragioni esposte sopra. Resta il fatto che le scie le vedo anch’io, ma da qui a poter dire con serietà di che cosa si tratta ne corre. Per chi ama le stravaganze, la rete pullula di siti che descrivono natura ed effetti delle scie chimiche. Il fatto che nessuna delle affermazioni sia supportata da analisi scientificamente credibili sulle scie è del tutto irrilevante per i gonzi che si abbeverano a quelle fonti.

 

Usare farmaci che contengono argento colloidale è pericoloso?

Esistono cose più pericolose a questo mondo, ma io non userei mai quella roba. Le particelle d’argento sono tossiche e, comunque, costituiscono dei corpi estranei per il nostro organismo, con tutte le conseguenze ormai note. Come per tutte le particelle di metalli pesanti, anche queste non sono eliminabili dall’organismo e, come è naturale, si accumulano causando nel tempo la formazione di tessuti infiammatori che possono trasformarsi in cancri. Ricordo che l’FDA elenca l’argento solo tra i pesticidi.

 

Quali sono gli alimenti che contengono nanoparticelle?

La lista di alimenti pubblicata nel sito www.nanodiagnostics.it indica i campioni che abbiamo analizzato. Come spiegato da anni in libri, articoli (anche se ben pochi li leggono) e conferenze, oltre che nel sito della Nanodiagnostics e su questo blog, abbiamo prelevato un solo campione di ognuno di quegli alimenti e lo abbiamo controllato. Il fatto che ci abbiamo trovate presenti delle micro o nanoparticelle non significa affatto che quell’alimento contenga sempre e comunque quelle particelle o, addirittura, che contenga sempre e comunque particelle. L’inquinamento è spesso puramente occasionale e casuale. Il motivo per cui abbiamo resi noti quei dati è stato solo per attirare l’attenzione sul fatto che l’inquinamento particolato è ignorato dalle leggi, a dispetto della sua pericolosità. D’altro canto, esistono alimenti o prodotti assimilabili ad alimenti nei quali le particelle vengono aggiunte deliberatamente dal produttore come, ad esempio, accade per certe cioccolate o certe gomme da masticare. A mio parere quei prodotti vanno accuratamente evitati. I prodotti industriali vengono fabbricati quasi sempre con materie prime della provenienza più disparata ed incostante e, dunque, è impossibile, analizzando un  solo campione, affermare che quel prodoto è sempre inquinato. Meno impreciso è quanto si può stabilire da un’indagine su un campione di prodotto biologico che provenga con certezza da un luogo specifico o di una materia prima ricavata anch’essa da un luogo di cui si abbia conoscenza e che resti quello.

Quali sono i tuoi rapporti con Beppe Grillo?

Di completa disistima. Grillo mi fece lavorare a mia cura e spese per un anno, esibendomi nei suoi spettacoli come fenomeno da baraccone. In cambio lui si era preso l’onere di pubblicizzare la necessità di acquistare un microscopio per poter mettere in condizione mia moglie e me di continuare le nostre ricerche sulle nanopatologie. Dal canto mio, io tenni oltre 200 conferenze nelle quali, ovviamente, Grillo non era coinvolto, sempre a mia cura e spese, per raccogliere fondi. Ad obiettivo raggiunto, Grillo mi fa togliere il microscopio che finisce all’Università di Urbino dove giace initilizzato dal 22 gennaio 2010 per poi, dopo oltre 16 mesi d’inattività, essere dato in comodato d’uso all’ARPAM di Pesaro conla clausola scritta che io non possa usarlo. Insomma, a chi m’insulta perché io non sarei grato a Grillo chiedo se si debba essere grati a qualcuno che ti ha fatto lavorare gratis e si è appropriato del tuo lavoro. Altro motivo di completa disistima è il sottrasi continuo del comico ad ogni mio tentativo di confronto nel quale ognuno dei due possa mostrare i propri documenti e far valere le sue ragioni.

Com’è la storia delle analisi che hai fatto al figlio di Grillo?

Anni fa io analizzai i campioni prelevati circa 25 anni prima dal figlio ammalato di Grillo. Il tutto completamente a mie spese, naturalmente, e senza mai rendere pubblici i risultati. Per motivi misteriosi, non solo non sono stato ringraziato, ma, addirittura, sono stato accusato nessuno sa di che cosa (circola in rete una sorta di pistolotto sproloquiante definito da qualche cerebroleso “pieno di dignità”. Va da sé che nessuno sa dove stia questa dignità, ma trattandosi del branco dei grillini, non c’è di che stupirsi.) Il tutto, come chiunque poteva aspettarsi, ha eccitato molto i balilla di Grillo che, dimostrando tutta la loro levatura mentale, mi hanno riversato addosso le loro solite palate di fango lanciate, come è loro abitudine, nella viltà dell’anonimato. Se qualcuno vorrà illustrarmi in che cosa consista l’accusa, avrà la mia gratitudine.

Che cosa sta facendo il microscopio elettronico acquistato con i fondi della raccolta?

I fondi furono raccolti esclusivamente per acquistare il microscopio e perché fosse usato da me e dal gruppo che dirigo. Ogni altra destinazione del microscopio costituirebbe una truffa verso chi ha versato denaro. L’uso che se ne farebbe, se Grillo non avesse contribuito a sottrarcelo, sarebbe, ovviamente, quello indispensabile alla ricerca sulle nanopatologie: studio di campioni ambientali, di campioni alimentari, di campioni bioptici ed autoptici di casi patologici, con particolare attenzione verso le malformazioni fetali. In questo momento abbiamo in corso una ricerca su tessuti di feti malformati e su campioni di latte materno. Poiché tutti i costi sono a carico nostro, chi vuole dare una mano è il benvenuto. Ora è indispensabile acquistare un altro microscopio per mettere una pezza ai guasti fatti da Grillo e dalla Onlus Bortolani. Per un paio d’anni l’apparecchio è restato inutilizzato. Ciò che iinteressava a chi ce l’ha sottratto era solo impedirci di continuare le ricerche e, dunque, se è fermo non è fatto rilevante: l’importante è che non lo usiamo noi. Poi l’Università di Urbino ha trasferito quell’aggeggio  all’ARPA di Pesaro e noi, grazie ad un giudice, possiamo usarlo “almeno una volta la settimana”

È vero che il primo microscopio di cui vi era stata tolta la disponibilità apparteneva (o appartiene)  all’Università di Modena?

No. Dal punto di vista burocratico quel microscopio (ESEM) è ora nell’inventario del CNR che, peraltro, non ha mai stanziato un centesimo per l’acquisto o per il suo mantenimento. L’Università di Modena lo ha ospitato per un certo tempo e, dopo un periodo di parecchi mesi in cui l’apparecchio restò smontato ed imballato, lo ospita tutt’ora nel Laboratorio di Biomateriali. Del resto, l’Università di Modena non ha mai affermato che il microscopio in qualche modo le appartenesse per il semplice fatto che non è vero. L’idea, davvero balzana, è frutto d’invenzione di qualche pettegolo perdigiorno che infesta i blog nazionali. Tutta la storia è raccontata per filo e per segno nel mio libro Il Girone delle Polveri Sottili che invito a leggere, se non altro per evitare di continuare a dire sciocchezze in proposito.

Quanto ha contribuito il CNR per l’acquisto di quel microscopio?

Come ho detto anche sopra, zero.

Quanto ha contribuito l’Università di Modena per l’acquisto di quel microscopio?

Zero.

Com’è la storia del microscopio sottratto?

Credo di aver raccontato per iscritto non meno di un centinaio di volte la triste storia che mi ha visto coinvolto con il ragionier Giuseppe Piero Grillo, in arte Beppe, erede dell’impresa di famiglia, da anni comico di successo ed ora “uomo politico” emergente.

Ne ho scritto almeno cento volte, eppure sono pronto a scommettere che il 99,9% degl’italiani non ne sa nulla. E, allora, se si vuole capire ciò che seguirà, dovrò riassumere le vicende.

Come dettagliatamente raccontato nel mio libro divulgativo Il Girone delle Polveri Sottili (Macroedizioni) circolato in maniera quasi carbonara, tra il 1990 e il 1998 io fui protagonista insieme con mia moglie Antonietta Gatti – che fu molto più protagonista di me – di una scoperta destinata ad aprire un mondo per la Medicina. Diversi articoli scientifici ne parlano e così il libro, pure scientifico, di mia moglie e mio, intitolato Nanopathology (edito da Pan Stanford Publishing, introvabile in Italia ma disponibile presso le biblioteche delle maggiori università del mondo), eppure il grande pubblico non ne sa niente. Non sa nemmeno che la scoperta, sempre che sappia della sua esistenza, è opera di italiani.

In soldoni, ciò che scoprimmo allora – e che ormai è confermato al di là di ogni dubbio da anni di ricerca e da oltre mille casi clinici studiati – è che le polveri sottili e ultrasottili che vengono inalate ed ingerite dal soggetto restano imprigionate vita natural durante nel suo organismo e sono capaci d’innescare una lunga serie di malattie che noi battezzammo “nanopatologie” proprio per la loro origine da granelli nanometrici.

Ciò di cui parliamo sono polveri che vanno da qualche micron di diametro giù fino ai nanometri, vale a dire i millesimi di micron, e quelle di cui ci occupiamo hanno la particolarità di non essere né biodegradabili né biocompatibili.

Fino a che noi non dimostrammo il contrario, si era sempre dato per scontato, peraltro senza prove ma come atto di fede che di scientifico non ha nulla, che quelle polveri entrassero sì ma venissero in qualche modo eliminate. In che modo, pare che nessuno se lo fosse mai chiesto.

Quella che, all’apparenza, sembrava una scoperta scientifica e basta, si rivelò invece subito una bomba. Le polveri di cui ci occupiamo, infatti, piccolissime e di composizione tanto insolita, sono prodotte principalmente dai motori a scoppio, dall’incenerimento dei rifiuti o delle cosiddette biomasse, dai cementifici (che spessissimo bruciano l’immondizia più immonda), dalle fonderie e, in genere da ogni combustione. Ad aggravare le cose c’è il fatto che polveri analoghe prodotte in laboratorio per le caratteristiche interessantissime che sono loro peculiari vengono aggiunte ad alimenti (dove polveri tossiche si trovano anche come inquinanti casuali) e a farmaci, vaccini compresi.

E, almeno da un certo punto di vista, forse ancora peggio, quelle polveri sono prodotte dalle esplosioni di ordigni bellici come, ad esempio, i proiettili all’uranio impoverito il cui uso era allora, una decina d’anni fa, negato dalle autorità militari.

Insomma, il coperchio che quella scoperta sollevò si rivelò immediatamente a dir poco imbarazzante per chi conduce affari miliardari a livello planetario.

E, allora, l’accademia italiana che sopravvive al suo sfacelo anche perché si presta disinvoltamente a coprire le mille e una porcheria perpetrata dai personaggi di cui sopra si difese trattandoci da cialtroni e negando l’evidenza della nostra scoperta.

Questo fino al 2002, quando la Comunità Europea si accorse che i cialtroni erano altri e mise mia moglie a capo di un progetto di ricerca da lei stessa ideato intitolato Nanopathology, un progetto che includeva anche le Università di Mainz in Germania e di Cambridge in Gran Bretagna.

In parte con i soldi della Comunità e in parte con fondi nostri acquistammo allora il microscopio elettronico indispensabile per i nostri studi (fino ad allora avevamo lavorato con quello dell’Università di Modena, ormai diventato insufficiente per prestazioni e per disponibilità) e i risultati fioccavano. Fioccavano tanto che si manovrò con successo per portarci via l’apparecchio, e chi è interessato al come può leggersi il mio libro Il Girone delle Polveri Sottili prima citato.

Fu in quel momento – e si era a fine febbraio del 2006 – che, per riparare al guaio, si aggiunsero altri guai.

Parlando con Beppe Grillo che conoscevo da oltre un anno perché lui si era fatto introdurre a me da uno scienziato italiano che lavora al Politecnico di Zurigo, gli raccontai della disavventura, e lui colse la palla al balzo: mi propose d’iniziare una raccolta fondi che lui stesso avrebbe pubblicizzato per comprarci un nuovo microscopio. Il costo dell’oggetto? Ammontava a 378mila euro. Una bazzecola, mi assicurò lui.

Per una mia imperdonabile ingenuità, per evitare che qualcuno pensasse che io volessi impadronirmi di un apparecchio di quel pregio, proposi allora d’intestarne la proprietà ad una fondazione o ad una onlus e, per un disgraziato incrocio di circostanze rivelatesi poi catastrofiche, la scelta cadde su tale Associazione Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia presieduta da tale avvocatessa Marina Bortolani di cui non mi risultano, però, iscrizioni ad alcun ordine degli avvocati.

Grillo iniziò subito a parlare dell’iniziativa nei suoi spettacoli, cui avevo già saltuariamente partecipato e ai quali, da quel momento, io intervenivo molto più assiduamente per una decina di minuti o un quarto d’ora al massimo spiegando che diavolo fossero le nanopatologie.

Per informazione: tra le nanopatologie si contano ictus, infarti cardiaci, tromboembolie polmonari, diverse forme di cancro, malformazioni fetali, aborti, malattie neurologiche, malattie endocrine, sterilità maschile, stanchezza cronica, ecc.

Per Grillo il nostro problema era una piccola manna dal cielo: aveva qualcosa di nuovo da dire, si ammantava di eroismo personale e, cosa per lui tutt’altro che trascurabile, io ero gratis.

Sull’onda di questi spettacoli e delle conferenze che io tenevo in tutta Italia (ne tenni oltre 200 in un anno a mia cura e spese), il denaro cominciò ad arrivare, confluendo in un conto corrente che la signora Bortolani aveva acceso presso la Banca Etica a nome della sua onlus.

Mia moglie ed io cominciammo presto ad insospettirci per il comportamento della sullodata Bortolani: a dispetto delle nostre insistenze, non ci fu permesso né allora né poi di vedere i conti della banca. Perché? Quanto stava entrando? Non stava, per caso, uscendo indebitamente denaro? Perché un giorno il denaro fu trasferito da Banca Etica ad Unipol? Per i movimenti, qualunque questi fossero, dovevamo fidarci della parola della presidentessa della Onlus senza possibilità di riscontro. Dunque, impedendoci qualunque controllo, noi fummo messi in condizione da non avere alcuna prova esibibile di eventuali scorrettezze. Certo, però, che ci pareva difficile giustificare l’inaccessibilità del conto se tutto si svolgeva correttamente.

Un anno dopo, comunque, i fatidici 378mila euro furono raggiunti e si poté pagare il nuovo microscopio che, intanto, ci era già stato anticipato dal costruttore.

A quel punto, io cessai di partecipare agli spettacoli di Grillo, un po’ perché non ne vedevo più la ragione, un po’ perché non mi andava di essere usato come fenomeno da baraccone, e un po’ perché sentire il comico relazionare di fatti scientifici di cui lui non aveva la minima competenza – e la cosa era fin troppo palese – mi metteva in imbarazzo.

Se fino ad allora il fine, ossia poter continuare le ricerche, aveva giustificato il mezzo, cioè la raccolta fondi reclamizzata da Grillo, ora, a fine raggiunto, si doveva chiudere in fretta quella sorta di collaborazione.

Così, piano piano i rapporti con il comico diventarono sempre più rari. Ma, se Grillo lo sentivo poco, con la signora Bortolani persi ogni contatto. Questa, inspiegabilmente, pur invitata innumerevoli volte, non solo non venne mai a trovarci benché abiti a mezz’ora di strada dal laboratorio, ma non rispondeva più né alle nostre telefonate, né alle lettere, né alle e-mail.

Nel frattempo, le ricerche continuavano a dare frutti eccezionali, tanto che la Comunità Europea mise mia moglie a capo di un altro progetto, ancora una volta ideato da lei, chiamato DIPNA, notevolmente più grande del primo. Questo per approfondire un’altra nostra scoperta, cioè la capacità delle polveri di penetrare nel nucleo delle cellule interferendo con il DNA. Addirittura la Camera dei Lord di Londra c’invitò a relazionare sulle nostre scoperte, soprattutto per quanto riguardava l’aspetto dell’inquinamento causato dalle esplosioni ad alta temperatura che si usano in guerra.

Anche il Ministero della Difesa italiano si mosse in seguito ai nostri studi sulle armi all’uranio impoverito che dimostravano come le malattie dei soldati e dei civili esposti all’inquinamento bellico fossero dovute alle polveri generate dalle esplosioni. E per il Ministero lavorammo e continuiamo a lavorare.

Non saranno in tanti, ma forse qualcuno ricorderà che nel febbraio del 2008 io mi candidai alla Camera dei Deputati con la lista civica chiamata Per il Bene Comune, venendo indicato come candidato alla presidenza del consiglio. Naturalmente, non serve nemmeno sottolinearlo, era chiaro a tutti che non sarei mai riuscito a battere Prodi o Berlusconi e, a dire il vero, a me era altrettanto chiaro che non avrei mai ottenuto il minimo dei voti per arrivare a Roma. E così fu, anche per il boicottaggio solidale di tutti i mezzi d’informazione, con i giornali silenziosi, la RAI che mi riservò lo 0,3% del tempo dedicato ai candidati e Mediaset che si limitò a farmi partecipare ad una trasmissione chiamata Matrix a fine maggio, quando le elezioni si erano svolte ad aprile.

Se il boicottaggio dei media non fu per me una sorpresa, ciò di cui non mi ero reso conto era che la mia “discesa in campo” disturbava Beppe Grillo o, meglio, il suo gestore Gianroberto Casaleggio che aveva partorito le famose Liste Cinque Stelle.

E nemmeno piaceva ad Antonio Di Pietro, che fa parte della scuderia di Casaleggio e che, a Grillo pensionato, vedrà confluire sul suo partito – un partito di cui lui è, come si suol dire, padre padrone – gli orfani del comico trasformato tanto incredibilmente quanto provvisoriamente in maestro di pensiero.

Nella mia cecità, io non fui capace di leggere qualche segnale evidente: improvvisamente Grillo prese a non rispondere alle mie telefonate né alle mie e-mail e, in aggiunta, si rese protagonista di un episodio che quasi nessuno conosce, e chi lo conosce ben si guarda dal renderlo pubblico.

Nella tarda primavera del 2008 un gruppo di grillini di Firenze mi propose di mettere in atto una raccolta fondi per aiutare la nostra ricerca. Si trattava di un’iniziativa minima, ma non per questo disprezzabile, perché per chi fa ricerca ogni centesimo significa un sia pur piccolo passo avanti verso un risultato scientifico. I ragazzi fiorentini iniziarono a darsi da fare ma poco dopo, ad inizio estate, io mi vidi recapitare una raccomandata firmata da tale avvocato Maurizio Grillo, nipote del comico, con la quale venivo diffidato dal raccogliere fondi attraverso i grillini, come se questi costituissero una proprietà privata in una sorta di riesumata schiavitù. Va da sé che, dal punto di vista legale, la mossa era nient’altro che grottesca, palesemente infondata com’era, ma ottenne l’effetto voluto: i grillini cessarono subito di raccattare denaro, arrivato appena ad una manciata di euro.

Se allora mi era difficile decifrare un’azione così apparentemente assurda ed immotivata, per di più senza aver ricevuto nemmeno una telefonata da Grillo, la cosa mi diventò chiarissima un anno più tardi, il 30 giugno del 2009.

Quel giorno mi arrivò, infatti, una lettera raccomandata firmata dall’avvocatessa Bortolani con la quale mi si comunicava che il microscopio, legalmente di proprietà della Onlus, era stato “donato” all’Università di Urbino ma che noi, mia moglie ed io, avremmo potuto usarlo “almeno una volta la settimana”.

Improvvisamente cominciai ad aprire gli occhi.

Chi ha voglia di leggere quanto la Bortolani aveva scritto sul suo sito Internet in tempi non sospetti vada all’indirizzo http://www.bortolanionlus.it/2007/04/02/parte-il-progetto-di-ricerca-sui-possibili-effetti-che-l%e2%80%99inquinamento-da-polveri-puo-avere-sui-bambini-gia-dallo-stato-fetale/ e confronti con quanto stava accadendo.

Perché ci portavano via il microscopio in disprezzo di tutto ciò che si era promesso ai donatori (http://www.oltrelacoltre.com/?p=4485)? Perché nessuno aveva mai discusso con noi la cosa? Perché, volendocelo proprio portare via, invece di “donarlo” al Centro dei Biomateriali dell’Università di Modena diretto da mia moglie lo portavano a Urbino?

Venni a sapere quasi subito che dall’inizio della primavera del 2008, in coincidenza con la mia candidatura politica, Grillo e la Bortolani si erano messi a trattare con l’Università di Urbino per sottrarci l’apparecchio.

Il tutto, inutile dirlo, a mia insaputa, esattamente come si fa quando si combina qualcosa di non propriamente onorevole e, alla fine, la trattativa andò in porto.

Se sia corso denaro, io non posso saperlo, ma la mia opinione personale è che il motivo della sottrazione fosse altro che intascare qualche euro sottobanco.

La verità è che quelle nostre ricerche diventavano ogni giorno più scottanti e che gl’interessi reali di Grillo, o di chi gli sta alle spalle, ne venivano pesantemente toccati.

Questo spiega anche la scelta di Urbino, un’università che occupa una classifica a livello internazionale non proprio lusinghiera, dove nessuno si è mai occupato di nanopatologie.

A illustrare meglio quella scelta va tenuto in conto come in un passato allora recente io fossi stato chiamato a difendere un Comune della provincia di Pesaro e Urbino dalla minaccia di un inceneritore a cosiddette biomasse che un’azienda intendeva costruire in una località chiamata Schieppe.

Allora fu l’Università di Urbino a scagliarmisi contro per difendere gl’interessi della ditta ma, alla fine, vinsi io.

A margine, il Comune di Montemaggiore mi concesse la cittadinanza onoraria per il “salvataggio”.

Salvataggio, peraltro, che ho ripetuto più volte in altri luoghi. Tutto considerato, allora, quale ubicazione migliore per il microscopio? Ad Urbino le ricerche di nanopatologia sarebbero certamente morte e, in aggiunta, si sarebbe fornito il nostro strumento di ricerca proprio a chi mi aveva combattuto.

Inutile dire che mia moglie ed io lottammo con tutte le nostre forze per opporci al trasferimento del microscopio, ma non ci fu nulla da fare: l’oggetto apparteneva di diritto alla Onlus Bortolani e la donazione appariva legittima. I donatori? Le bugie che si erano raccontate loro per spillare quattrini? Il fatto che Grillo mi avesse sfruttato facendomi lavorare a mie spese per un anno sfruttando il mio nome e la mia faccia nei suoi spettacoli? Ma mi faccia il piacere! Fatta la festa, gabbato lo santo.

Qualcuno tra i donatori si mosse scrivendo alla Onlus Bortolani e tentando anche, senza successo, d’iscriversi all’associazione, obbligata per legge ad accettare chiunque. Il risultato fu un muro di gomma. Molti scrissero all’Università di Urbino, compreso il Sottosegretario alla Difesa, per scongiurare la sottrazione. Di nuovo un muro di gomma fu il risultato. Moltissimi mandarono commenti al blog di Grillo chiedendo spiegazioni riguardo ad un atto così apparentemente inspiegabile. Il risultato, una volta di più, fu un muro di gomma insieme a una censura ferrea che impediva e tuttora impedisce la pubblicazione di qualsiasi cosa disturbi il personaggio (io ci ho provato varie volte, se non altro per divertimento). Il che da solo dimostra tutta la debolezza del comico trasformato in uomo politico.

Nel frattempo avevamo fondato una onlus chiamata “Ricerca è Vita” con la finalità di far conoscere al grande pubblico i risultati delle nostre ricerche. Come c’era da aspettarsi, i soliti noti riuscirono a farla chiudere asserendo che quella Onlus fa ricerca, cosa vietata in Italia a quel tipo di associazione.

Certo, l’accusa è a dir poco grottesca: Ricerca è Vita non disponeva di laboratori, di personale né di apparecchiature e, dunque, la ricerca sarebbe stata comunque impossibile, ma che importa?

Intanto si è riusciti a fermare il pericolo che trapeli l’informazione e la nostra opposizione avviata presso gli organi burocratici competenti potrebbe avere tempi biblici.

Ma di episodi da raccontare ce ne sarebbe una lista lunghissima, tutti a conferma di quanto credo ormai sia evidente.

Ora, io mi trovo in condizione di non poter più dare una mano a nessuno dei tanti che continuano a chiedermi aiuto: ci costruiscono un inceneritore dietro casa, il cementificio qui vicino brucia rifiuti tossici e ci avvelena, ci piovono materiali oleosi corrosivi sul davanzale, c’è una moria di bambini per leucemia tutti nella stessa scuola…

A me non resta che dire di rivolgersi a Grillo, alla Bortolani o ad Urbino e la reazione è quasi sempre indispettita.

Ma che posso farci io? Dove eravate quando mi spogliavano dello strumento? Chi di voi si è mai chiesto quanto mi costano le ricerche? Lo sapete che io lavoro non solo gratis ma a mie spese dal 2004?

La forza di Grillo travestito da uomo politico è quella di disporre di uno zoccolo duro di fedelissimi che vedono la messa in discussione del loro maestro di pensiero come un atto blasfemo.

È sufficiente leggere le loro reazioni in parecchi siti che circolano in rete: mai una discussione basata sui fatti ma solo insensatezze in nessun caso supportate da uno straccio di documento, e sempre il concetto religioso «se Beppe l’ha fatto, avrà avuto le sue ragioni.»

Al mio invito a Grillo costantemente ripetuto di un confronto pubblico tra lui e me (un esempio tra i tantissimi: https://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2033-caro-beppe.html) è sempre stato risposto con un silenzio terrorizzato. Che potrebbe mai ribattermi il comico? Come potrebbe giustificare azioni la cui portata – temo – lui stesso magari non ha compreso? Come potrebbe giustificare, proprio lui, la sua censura? Quali argomenti potrebbe estrarre dal cilindro per spiegare il suo imbavagliamento della ricerca? Come potrebbe guardare negli occhi le persone che hanno avuto bisogno di noi e continuano a chiederci aiuto? Con che faccia potrebbe spiegare le sue fughe davanti al pericolo di un confronto? Come potrebbe spiegare il comportamento dell’Università di Urbino che, dal 22 gennaio scorso, quando si è portata via lo strumento, non l’ha mai usato e non ci ha nemmeno mai permesso di vederlo (vedi QUI e QUI)?

A tutto questo non esiste una sola risposta né da parte del comico né da parte del suo staff né da parte dei suoi fedelissimi. Solo i soliti saggi da osteria ripetono «bisogna ascoltare tutte e due le campane» con la certezza che una delle due non suonerà mai.

Se di tutto questo ben pochi sono al corrente è perché i mezzi di cosiddetta informazione, tutti, nessuno escluso, ne tacciono cocciutamente. E ne tacciono perché dalle fonti inquinanti, in particolare dagl’inceneritori (chiamati grottescamente “termovalorizzatori”), tutta la politica italiana ricava denaro. E tanto. E da quegl’impianti succhiano quattrini, e tanti, grandi imprenditori che fanno impresa con i soldi altrui.

Così i giornali e le TV, che vivono di pubblicità e quella pubblicità arriva proprio dai grandi gruppi di pseudoimprenditori di cui sopra, se ne stanno prudentemente zitti, complici di malefatte di cui paradossalmente ignorano di essere vittime come tutto il resto del mondo. Basti osservare la reazione di quel giornale che si presenta in veste di paladino della verità chiamato «Il Fatto Quotidiano» alle numerose lettere dei lettori che chiedono informazioni sulle prodezze di Grillo raccontate in sunto sopra: zero, esattamente come tutti gli altri giornali. Tengono anche loro famiglia.

Malauguratamente il mondo ha perso il concetto di politica, dimenticando che questa è la conduzione virtuosa della casa comune e non ha ragione di esistere per altro.

Certo la politica non è quella bolgia infernale che noi supinamente accettiamo d’intrighi, di compromessi, d’ipocrisie, di affari giocati a spese dei borsellini e, quel che è peggio, della salute di chi la politica dovrebbe istituzionalmente servire e della salute delle generazioni future. Da noi si contrabbandano per politica le baruffe tra Fini e Berlusconi, le ridicole enormità delle nostre veline assurte alle vette della politica nostrana, le esternazioni sul mondo ideale ottocentesco della cosiddetta sinistra che non ha un’idea che sia una, o le follie dei sindacati che mobilitano milioni di lavoratori per quattro soldi da aggiungere in busta paga e s’infischiano bellamente della loro salute di cui non vogliono nemmeno sentir parlare.

E, a corollario della politica, da noi si conserva in vita una pletora del tutto inutile quando non dannosa d’istituzioni che dovrebbero salvaguardare l’ambiente. Tra queste l’ARPA, che viene mantenuta a spese pubbliche e che, invece, non fa altro che mentire sulle reali condizioni ecologiche. Forse qualcuno ricorda un’intervista: «Quando ero presidente del Consorzio dei rifiuti a Caserta ho chiesto la tracciabilità della diossina e degli altri inquinanti. Ho subìto minacce, mi hanno lasciato solo e mi sono dovuto dimettere. Le Arpa italiane lavorano malissimo, le analisi si contano con il contagocce. Il motivo? Sono carrozzoni politici, senza alcuna indipendenza scientifica. Pubblicare dati negativi turberebbe il consenso politico, e il direttore di turno perderebbe la poltrona.» (Vincenzo Pepe, intervistato da «L’Espresso» del 29 novembre 2007 – pag. 72).

Chi ha seguito, tra le altre prodezze, le vicende legate all’incendio DeLonghi di Treviso – a seguito del quale l’ARPA veneta “rassicurò” la popolazione dicendo che non erano state generate diossine (quando, di fatto, non aveva eseguito alcuna indagine) – sa di che cosa sto parlando.

Ma di episodi analoghi si potrebbe riempire un volume ponderoso, un volume che, invece, resta desolatamente con le pagine bianche perché di queste cose non c’è chi voglia parlare.

Chi ne intascherebbe qualcosa parlandone?

Nessuno pare rendersi conto che non esiste nulla di più importante della conservazione dell’ambiente. Lo si voglia o no, il Pianeta è piccolissimo e l’inquinamento sempre più omogeneamente distribuito con cui lo stiamo avvelenando colpisce inevitabilmente ognuno di noi senza possibilità di privilegio.

E quel che è più allarmante è l’accumularsi inesorabile di quei veleni per i quali non esiste degradabilità (quando si parla di “bonifiche” non so se ridere o piangere) e la loro capacità di passare da madre a feto provocando non solo aborti e malformazioni ma modifiche del DNA con un genoma umano che va mutando in tempi rapidissimi e non muta certo per il meglio.

È questo il nemico contro cui si deve assolutamente combattere. Qualche euro in più in busta paga, una legge elettorale meno farsesca di quella odierna, un premier meno imbarazzante… Tutte cose bellissime, ma, se schiatteremo come cani, a che ci servirà tutto questo? E, se non sapremo che cosa rispondere quando, inevitabilmente, la generazione futura ci accuserà di aver saputo e di non avere agito, non saremo altro che dei volgari assassini per pigrizia. Qualcuno venga a trovarmi nel mio laboratorio e gli mostrerò come stanno le cose. Venga, e gli farò vedere ciò che i politici e i sedicenti scienziati che si prostituiscono per quattro soldi o per un gradino di carriera non vogliono vedere e non vogliono sia mostrato.

Ma la cosa che mi spaventa di più è ciò che costituisce la causa e la conseguenza ad un tempo di tutto questo: lo stato di anestesia in cui vegetiamo.

Ormai beviamo qualunque fandonia, meglio se rassicurante, purché sia pronunciata tre volte per farla diventare pirandellianamente vera, o se la fandonia è strepitata in piazza da qualche guru abborracciato apposta per l’impresa.

Il fenomeno del grillismo, così funzionale al sistema, ne è la riprova più evidente e sconsolante. Migliaia di ragazzotti rassicurati dalla forza del branco e dal darsi reciprocamente ragione fino ad esserne intontiti sono pronti a portare il loro obolo di denaro e il loro lavoro a un personaggio senza alcuna qualifica politica o culturale. E dei suoi scheletri nell’armadio, vedi la non certo onorevole vicenda del microscopio, è peccato mortale fare anche solo menzione.

Questi giovani alla ricerca disperata di un ideale hanno riposto la loro fede in un uomo di spettacolo che si serve di loro per mantenere vivo il suo personaggio e continuare così a riempire i palasport. In quell’ambito lo spirito critico non deve esistere, va soffocato sul nascere con una censura ferrea ed impenetrabile, e la minima obiezione è bollata con una sorta di fatwa morale.

I transfughi sono rarissimi (https://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2035-senza-commento.html) e di loro non si parla.

Già a livello locale, per esempio in Emilia Romagna, questi ragazzi hanno dato una prova desolante del loro spessore sbranandosi tra loro, facendosi beffe di tutto quanto di etico sostengono pubblicamente, per un posto al parlamento regionale andato poi a chi non spettava. Dovessero costoro davvero arrivare ad ottenere qualche posizione di potere, se non ci sarà un nuovo 1922 è solo per l’inconsistenza e la pochezza dei protagonisti.

Ma, se tutto quello che ho chiamato grillismo servisse solo ad attirare pubblico e denaro per il comico, forse potremmo annoverarlo tra le manovre pubblicitarie riuscite, magari un po’ ai confini estremi della correttezza, ma, via, transeat!

Il problema vero sta, invece, nel fatto di manovrare tutta questa torma di giovani per far funzionare il sistema che vige ora. La sottrazione del microscopio che combatteva l’incenerimento dei rifiuti con tutta la corruzione e le ruberie (miliardi di euro) che gli vanno appresso ne illustra l’evidenza.

Come continuerò a dire gridando nel deserto come un pazzo qualunque, se non ci riapproprieremo del nostro intelletto, della nostra dignità, del nostro buon senso e delle chiavi di casa nostra, vale a dire dello Stato come consorzio di cittadini uguali per diritti e per doveri, per noi non ci sarà scampo. Né ci sarà per i nostri figli.

(http://www.megachipdue.info/tematiche/beni-comuni/4797-lgrillo-tra-polveri-sottili-cause-usa-e-getta-e-silenzir.html)

Un blog chiamato Savona & Ponente tenuto da tale Valeria Rissi pubblica la testimonianza di tale “Gianni” che afferma di aver lavorato alla Nanodiagnostics. Che cosa c’è di vero?

“Gianni” è un signore che, in realtà, si chiama Andrea Dall’Olio. Costui fu assunto temporaneamente come microscopista elettronico dal Laboratorio di Biomateriali dell’Università di Modena diretto da mia moglie, un laboratorio che con Nanodiagnostics non ha nulla a che spartire. Poiché il personaggio si rivelò incapace di eseguire il tipo di lavoro che gli si richiedeva, mia moglie mi chiese di prenderlo per qualche tempo al laboratorio Nanodiagnostics dove i microscopisti veri gli avrebbero insegnato almeno i rudimenti del mestiere. Dopo pochissimo, però, fummo costretti a restituire al mittente il Dall’Olio perché impermeabile a qualsiasi insegnamento e, per di più, afflitto da una presunzione additrittura stravagante. Come Dio volle, l’Università di Modena riuscì a liberarsi del personaggio il quale, poi, pensò di vendicarsi lanciando accuse ridicole come quella dei campioni mal conservati o testimoniando falsamente di essere stato dipendente della Nanodiagnostics dove fu solo ospite temporaneo e del tutto sgradito. Naturalmente chiunque possa documentare cose diverse è il benvenuto.

Com’è la storia della “risposta piena di dignità” di Sonia Toni (http://www.youtube.com/watch?v=55z_KTXTIEU)?

Da quando l’Associazione Vita al Microscopio ha chiarito che si sta preparando un’azione penale nei confronti di chi ci ha sottratto il microscopio, e questo con l’appoggio dei donatori traditi, sto ricevendo dei messaggi di posta elettronica che credo possano suscitare qualche perplessità.
Che io non abbia mai avuto una grande opinione dei grillini penso sia fatto noto, ma tra loro ce n’è una parte, una sorta di zoccolo duro, che tocca degli abissi tali da non meritare nemmeno un giudizio. Costoro, evidentemente nell’ingenuo tentativo di salvare facce di gran lunga perdute, hanno riesumato un testo intitolato “Risposta piena di dignità di Sonia Toni moglie di Beppe Grillo a Montanari (microscopio ESEM)” che circola liberamente su Internet (http://www.youtube.com/watch?v=55z_KTXTIEU) e che lì resterà virtualmente in eterno.
A quelle parole io non ho mai replicato direttamente, e questo per più di un motivo.
Le sciocchezze riportate sono così visibilmente grossolane da valere un’autocondanna. Certo, per avvedersene occorre un minimo d’intelligenza e, a quanto pare, a quel minimo non tutti ci arrivano. Dove ho sbagliato, allora, è nell’essere troppo ottimista nei riguardi delle capacità d’intendimento altrui. In secondo luogo, avevo la certezza che, al di là delle palesi falsità sul passato, i fatti del presente e di quello che allora, ai tempi in cui quel testo fu pubblicato, era ancora il futuro, avrebbero rivelato la già ovvia verità. Le verità sono saltate fuori a ripetizione, per esempio facendo crollare miseramente le pagliacciate della signora Valeria Rossi, giornalista espulsa dall’ordine per sua stessa ammissione, ma, purtroppo, c’è chi preferisce ignorarle facendo il finto tonto. Infine, e questo forse principalmente, non ho replicato per la simpatia (etimologicamente la condivisione della sofferenza) che provo verso chi, come la ex compagna di Grillo, non ha avuto dalla vita ciò che desiderava. Se questa condizione è senza dubbio portatrice d’infelicità, l’infelicità viene aggravata dal presumere di poterne guarire con la cattiveria verso il prossimo. Così si muore dentro e si muore male.
Ora, venendo a quello scritto, spendo un paio d’ore di un pomeriggio di domenica e mi propongo dopo tanto tempo di rispondere, visto che esiste qualcuno disposto, pur senza averne motivo onesto e pur davanti allo sbugiardamento dei fatti, a prestargli fede e a citarlo come verità rivelata. Per capire ciò che scrivo è purtroppo necessario leggersi il guazzabuglio “pieno di dignità” a firma Sonia Toni, un’impresa che solo qualche eroico grillino è all’altezza di fare. Comunque sia, per chi ce l’ha fatta a leggersi tutto quello scritto prestandovi anche attenzione, ecco le mie risposte che mi auguro servano almeno a risparmiarmi la seccatura di dover rispondere a chi mi accusa di tutti i mali del mondo basandosi su ciò che ha accolto come articolo di fede.
1)    Nel testo si scrive che io avrei avvicinato Grillo raccontandogli che qualcuno (università, industrie…) mi avrebbe sottratto il microscopio con cui, insieme con mia moglie, lavoravo. La cosa, falsa di per sé, è almeno cronologicamente insostenibile. Fu Grillo a cercarmi, sollecitato da Marco Morosini, uno scienziato italiano che lavora presso il Politecnico di Zurigo, e questo avvenne nel febbraio 2005 mentre mia moglie si trovava in Giappone ad insegnare all’università di Sapporo. Da allora io partecipai molto saltuariamente, e sempre su richiesta di Grillo, a qualche suo spettacolo, uno dei quali, a novembre di quell’anno, a Forlì insieme con Dario Fo.
2)    Si scrive che io avrei raccontato a Grillo che mi stavano portando via il microscopio perché avevo scoperto che in una serie di alimenti (definiti “merendine”) c’erano degl’inquinanti. Il che è falso. Fu Grillo che, andando nel sito Internet del mio laboratorio (www.nanodiagnostics.it) trovò una sezione in cui venivano riportate analisi che noi avevamo eseguito su vari alimenti e, trascurando le modalità dei prelievi dei campioni e le finalità della ricerca (il tutto descritto chiaramente nel sito ed eseguito con modalità in seguito usate anche per un progetto europeo sulle acque minerali in cui noi non c’entravamo), generalizzò i risultati pubblicandoli il 7 dicembre 2005 nel suo blog. Fu solo ad inizio marzo 2006 (dunque, almeno un anno dopo la nostra reciproca conoscenza e quattro mesi dopo la storia delle “merendine” tirata fuori da Grillo) che io gli dissi che ci avrebbero sottratto il microscopio e non aggiunsi altro. Glie lo dissi allora perché solo allora, e non quattro mesi prima, ne ero venuto al corrente. Dunque, una storia bizzarramente costruita dalla fantasia della signora Toni su dati che conosce perfettamente e che distorce ad uso di chi ha tutta l’intenzione di cascarci.
3)    Si dice che l’avvocatessa Marina Bortolani ci mise a disposizione la sua onlus (Associazione Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia) per raccogliere i quattrini necessari ad acquistare il nuovo microscopio. Questo, sempre secondo la signora Toni, per rendere la raccolta “veloce e regolare”. Mi chiedo quale favore ci sia stato fatto, visto che la Bortolani non mosse un dito, limitandosi ad aprire un conto bancario a nome della sua onlus (conto, poi, trasferito, chissà perché, da Banca Etica ad Unipol) in cui arrivò una valanga di quattrini (servivano 378.000 Euro e ne arrivarono di più). Di questi io non ho mai avuto traccia, essendomi negata, senza darmene spiegazione, anche la semplice visione dei documenti bancari. Motivo? Ognuno si faccia la sua idea. La richiesta di mia moglie di istituire un comitato per la gestione del microscopio di cui noi facessimo parte cadde nel vuoto. Motivo? Ognuno si faccia la sua idea. Comunque sia, dalla raccolta fondi l’avvocatessa Bortolani ricavò quanto meno una ragguardevole pubblicità, certo non inutile per la sua professione. (Ora si occupa di affidamento dei minori).
4)    Si dice che io sarei un ingrato. I fatti: ad inizio marzo 2006 Grillo lancia una campagna di raccolta fondi per darci il nuovo microscopio che, su mia stessa, ingenua richiesta, sarebbe stato intestato non a noi ma alla Onlus Carlo Bortolani. Il comico inaugura le sottoscrizioni lavorando due ore gratis al Palasport di Modena e versando alla onlus Bortolani quello che, detratte tutte le spese, sarebbe stato il suo compenso per quelle due ore: 36.000 Euro. In cambio, da allora, io devo partecipare ai suoi spettacoli (a mia cura e spese) occupando 10-15 minuti della serata nel corso dei quali spiego al pubblico quali siano i problemi ambientali e sanitari delle nanoparticelle. Grillo ne ricava qualche minuto in meno di fatica e, senza sborsare un centesimo, si veste della figura del grande mecenate e del raddrizzatore di torti, cose che rianimano l’immagine di un comico ormai spompato (confrontare le battute di oggi con quelle di cinque o sei anni fa) e che stava covando ambizioni politiche (tramite Gianroberto Casaleggio). Di fatto molta parte delle donazioni arrivarono grazie alle oltre 200 conferenze che io tenni in giro per l’Italia perché Grillo non aveva nessuna fretta ma io sì. Al termine di tutto ciò, e passò un anno giusto, con qualche chilo in meno e tanto sonno arretrato da parte mia, pagammo il microscopio, microscopio che, poi, la coppia Grillo/Bortolani provvide a sottrarmi. Così, secondo il testo “pieno di dignità”, io dovrei essere grato a chi mi ha fatto lavorare a mie spese per l’interesse di non far appassire la sua immagine, per lanciarsi in politica e per impadronirsi poi del frutto del mio lavoro sottraendomi il microscopio. Io non so se Grillo (Casaleggio) si sia reso conto subito del pericolo che i nostri studi rappresentavano per i suoi interessi (vedi post sul blog di Grillo del 12 luglio 2011). Forse no, ma, se lo ha capito subito, la mossa di promuovere la raccolta è stata geniale. Affidandoci a lui, ci mettevamo totalmente nelle sue mani precludendoci altre vie per attrezzarci e mettendolo nelle condizioni di bloccarci a suo piacimento. Va aggiunto che quanto apprese da me (e non ci capì molto, ma quel poco per i suoi balilla va benissimo) gli sta servendo per la sua scalata politica in cui si presenta come difensore dell’ambiente, senza che nessuno gli faccia notare la sua incoerenza nell’averci sottratto lo strumento che serviva proprio a dimostrare certe devastazioni ecologiche. Per spiegare un fatto così strano bisognerebbe forse interrogare chi scrive i copioni del comico.
5)    Si dice che faccio il tuttologo. Cosa a dir poco curiosa, stante il fatto che almeno metà delle risposte che do a chi mi scrive ponendomi domande è “non lo so”. Contrariamente a un po’ di persone, io ho l’abitudine di parlare solo di cose che conosco. Tra le tante accuse balzane, questa è tra le più insostenibili.
6)    Si dice che non è mai stato provato che il primo microscopio fosse nostro. Infatti, de jure, pur avendone pagata una bella fetta, non era nostro ma era stato intestato per motivi burocratici all’Istituto di Fisica della Materia. Quell’ente diventò poi, per scelta dell’allora ministro Moratti, una branca del CNR, ente che, così, si trovò senza nemmeno saperlo l’apparecchio nel suo inventario. Mia moglie era solo la persona che aveva la responsabilità della gestione del microscopio ma questo era sufficiente perché ciò che c’interessava era poter usare lo strumento e nient’altro.
7)    Si dice che io avrei eluso i confronti con i grillini modenesi. Il che è ridicolo oltre che, coerentemente con le enormità non proprio dignitose del testo, falso. Io ho invitato numerosissime volte i grillini modenesi a venirmi a trovare in laboratorio, offrendomi anche di andarli a prendere a casa per evitare loro il disturbo della pur breve trasferta. Tentai più volte, invano, di avere un incontro con una grillina (ahimè, non ne ricordo il nome e non ho mai avuto l’onore d’incontrarla) che lavora all’Università di Modena e che è una sorta di “scienziata di corte”. Invitai i più accaniti tra loro ad un faccia a faccia (ricordo un tale che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Giove). Proposi incontri dove e quando a loro piacesse. Li invitai alle mie conferenze. L’unica reazione che ottenni da loro fu la fuga unita ad interventi diffamanti sui loro blog. Dunque, ancora una volta siamo di fronte all’esternazione di qualcuno che mente senza un barlume di dignità. Comunque, sia, come per il coniglietto terrorizzato Grillo e per chi ha scritto qualunque cosa inventando assurdità sul mio conto, l’invito al confronto, documenti alla mano, resta aperto. Chi non l’accetterà dimostrerà ancora una volta che uomo è.
8)    Si dice che l’Università di Modena abbia dichiarato che il microscopio era semplicemente “parcheggiato” alla Nanodiagnostics. Ci si chiede che cosa c’entri l’Università di Modena con il microscopio, non avendolo pagato, non avendolo mai mantenuto né avendone mai avuta l’intestazione di proprietà. Di fatto, l’Università di Modena non avanzò mai diritti sull’apparecchio semplicemente perché non ne aveva né poteva averne. Ancora una volta, una stupida menzogna.
9)    Si dice che la dottoressa Gatti (mia moglie) usa il microscopio sottrattoci la prima volta. La cosa risponde a verità. Come descritto nel mio libro Il Girone delle Polveri Sottili, la fiduciaria modenese del CNR, vogliosa di accaparrarsi lo studio delle nanoparticelle a livello di salute, si accorse che lo strumento era finito nell’inventario del suo ente. Così, cogliendo un’insperata occasione, disse che il microscopio era suo. Dopo mesi riuscì a portarcelo via ma, ahimè, non avendo i quattrini per gestirlo né avendo la minima competenza nel settore delle nanopatologie, lasciò il microscopio chiuso in una cassa di legno. Questo finché, dopo tempo e lotte, mia moglie riuscì a riprendere il microscopio e a riattarlo con i fondi suoi, ospitandolo nel laboratorio di biomateriali dell’Università che lei aveva fondato e di cui era responsabile. Purtroppo, però, nel suo laboratorio universitario non era possibile lavorare su materiale biologico umano, e quella era la ricerca che stavamo portando avanti presso la Nanodiagnostics e che era e resta fondamentale. Dunque, lo strumento posto all’Università di Modena non serviva a granché per l’avanzamento della ricerca sull’uomo. Ora l’apparecchio ha seguito mia moglie che, prepensionata dall’Università di Modena, è professore associato al CNR di Faenza dove, però, la situazione della ricerca è la stessa di Modena. Insomma, se vogliamo andare avanti con la ricerca sulle nanopatologie, dobbiamo lavorare nel nostro laboratorio. Se la cosa non interessa la comunità, ci se lo faccia presente e chiuderemo tutto, da parte mia magari anche con un sospiro di sollievo. Però nessuno osi poi strillare e piagnucolare per avere aiuto come avviene quotidianamente.
10)    La signora Toni mi rinfaccia ingratitudine per aver lei approntato il mio blog. Forse le sfugge dalla memoria il fatto che io quel blog l’abbia pagato (ben oltre il suo valore, temo, visto quanto mi sono costati altri siti) e che fossi io a scriverci, essendosi lei limitata a partorirne l’idea, un’idea, peraltro, che non mi pare sia particolarmente originale. Se qualcuno mi spiegherà dove sta l’ingratitudine, gli sarò grato. Poi, ancora, sono accusato di esserle ingrato per la sua opera nell’avermi fatto pubblicare il libro Il Girone delle Polveri Sottili. Occorre sapere che la signora Toni cercò un’occupazione presso l’editore Macro di Cesena e, per dimostrargli quanto potesse essere utile, mi presentò come potenziale scrittore di un libro. Il libro lo scrissi (appunto Il Girone delle Polveri Sottili) e la signora Toni, dopo aver fatto vedere che almeno un autore l’aveva scovato, ottenne di far disegnare la copertina alla figlia che, per questo lavoro sulla cui estetica preferisco sorvolare, ottenne in cambio del denaro. Poi, nel gennaio 2007, la signora Toni mi fece fare un DVD con tanto di libretto accluso (L’Insidia delle Polveri Sottili), il tutto, naturalmente, con testo mio ed immagini mie, e se ne intestò i diritti senza nemmeno avvertirmi né, men che meno, dirmi un grazie. Ma tra amici…
11)    Ora la storia misteriosa del figlio di Grillo e della sua ex compagna Sonia Toni e di quella che, qualcuno spieghi il perché, viene dalla signora definita “infamia” . Nel testo “dignitoso” si dice che mia moglie avrebbe chiesto alla signora Toni di poter analizzare i reperti vecchi di un  quarto di secolo del ragazzo affetto da una tristissima serie di patologie. L’imprecisione sta nel verbo: non chiesto ma offerto. E non è affatto vero che quelle indagini servissero nell’ambito di una ricerca sulle malformazioni come, senza motivo, afferma la signora Toni. La ricerca sulle malformazioni esisteva ed era condotta insieme con un pediatra che allora lavorava in un ospedale di Catania, ma riguardava tutt’altro problema (spina bifida). Per inciso, quella ricerca fu bloccata dalla sottrazione del microscopio portatoci via dal duo Grillo/Bortolani. Insomma, tornando al figlio di Grillo e della Toni, noi cercammo quei campioni nell’ospedale in cui il ragazzo era stato ricoverato 25 anni prima, li trovammo e li analizzammo. Per questo nessuno chiese un centesimo a nessuno. Quello che in quei campioni ci trovammo è cosa che non ho alcuna intenzione di rivelare e, comunque, è a dir poco ridicolo sostenere che si trattava di “sostanze che la dottoressa Gatti non conosceva”. Quella roba l’abbiamo vista ben più di una volta e chiudiamo qui la cosa. Ma, al di là di ciò, la storia inventata dalla signora Toni non ha una gamba su cui reggersi. Di che diavolo mi si accusa? Di aver fatto delle analisi a titolo gratuito? Dopotutto ne ho fatto un’infinità e chi non se ne è dimenticato mi ha ringraziato. Ingratitudine? Da parte di chi? Ma tra amici…
12)    Non capisco per quale motivo la signora Toni inventi una storia così ingenuamente stramba e insostenibile a proposito del denaro che lei mi chiese. L’uso “privato” del microscopio c’era stato e continuerà sempre ad esserci. Credo non sia un mistero che la ricerca costa cifre ingenti e che quelle cifre vanno pagate. Noi abbiamo un laboratorio in cui paghiamo l’affitto (circa 2.000 Euro mensili), abbiamo due dipendenti cui paghiamo lo stipendio (mia moglie ed io, invece, lavoriamo da sempre non solo gratis ma a nostre spese), paghiamo elettricità, acqua, tassa sui rifiuti, assicurazioni e quant’altro. In più manteniamo il microscopio che, come si potrà ricavare chiedendo all’Università di Urbino, richiede importi enormi. Esattamente alla stregua di qualsiasi università (o come sta facendo ora l’ARPAM di Pesaro che ha ricevuto graziosamente il nostro microscopio) noi dobbiamo raccattare quattrini per pagare la ricerca e quei quattrini arrivano dall’ uso “privato” dell’apparecchio: vendendo analisi. Oltre tutto, per le università, deve essere così per volere della legge ma, se il milionario Grillo o i suoi balilla sono disponibili a mantenere la ricerca a loro spese (in fondo si tratta del ricavato di poche ore di lavoro del comico), troveranno da noi le porte spalancate. Purtroppo, però, l’uso “privato” è ben lungi dal bastare. Così, senza usare lo strumento, ci sono le mie consulenze ad enti pubblici e a privati (per esempio avvocati) e il denaro che mia moglie ed io avevamo messo da parte in quasi quarant’anni di lavoro e che ora non c’è più. Cercando di districarmi nel ginepraio di una logica a dir poco insolita, la signora Toni sostiene di aver chiesto che io rendessi pubblico il fatto che il microscopio faceva analisi a pagamento ma pubblica la cosa era sempre stata, non fosse altro perché proprio enti pubblici (procure della repubblica, comuni, ecc. ci commissionavano qualche analisi) e perché della cosa io ho sempre parlato e scritto. Insomma, nella fantasia del racconto, con un salto logico acrobatico la signora Toni scrive che lei mi avrebbe chiesto di rendere pubblico ciò che pubblico era già e io, “stizzito” le avrei risposto che le analisi fatte su suo figlio superavano il valore venale della donazione fatta da lei per il microscopio. Che c’entrino le due cose resta avvolto nel mistero ma la logica della signora è molto personale. Chiarisco, comunque, a proposito della donazione, che la signora Toni donò 6.000 Euro e che io le restituii quell’importo a mezzo bonifico bancario personale del 12 maggio 2008. Dunque, la cifra da lei donata ammonta a zero Euro, il che non mi pare una cifra su cui vantare meriti o diritti. Proseguendo nel ginepraio, perché lei mi chiese denaro? Perché sosteneva di aver lavorato per me e per questo intentò una causa di lavoro nei miei confronti. Il giudice, di solito molto ben disposto nei riguardi dei lavoratori, le diede torto e tutto finì lì. Ora, tanto per completezza, informo che, al di là delle analisi sui reperti del ragazzo e del DVD di cui lei s’intestò i diritti, io tenni per la signora Toni una conferenza e  un intervento presso la provincia di Rimini quando lei si presentò alle elezioni. Eseguii per lei diverse analisi sulle ceneri dell’inceneritore di Raibano (Rimini), analisi di cui lei si valse con l’assessore all’ambiente Cesarino Romani sempre nell’ambito della sua candidatura politica. Analizzai per la ditta di alimenti biologici Terra & Sole di cui lei era socia diverse materie prime. Il tutto senza chiedere a nessuno, e meno che attraverso un  giudice, che mi si pagasse. Ma tra amici…
13)    Altra sorpresa è l’affermazione che il mio blog avrebbe chiuso la sezione dei commenti e praticherebbe forme di censura. Come chiunque potrà costatare, il mio non è il blog di Grillo dove, per esempio, io non posso pubblicare nessun commento proprio a causa della censura ferrea che lì vige. Chiunque può scrivere e commentare ciò che crede meglio. Basta provare per rendersi conto di quanto falsa sia l’invenzione della ex compagna di Grillo. Rimane sempre il mistero del perché la signora Toni racconti spericolatamente bugie così facilmente sbugiardabili.
14)    Argomento onlus Ricerca è Vita. La ex compagna di Grillo mi accusa di aver copiato il nome dell’associazione Ricerca Viva che lei avrebbe fondato. La cosa è quasi vera. Anni fa lei mi convinse a fondare l’associazione chiamata Ricerca Viva, naturalmente facendo il tutto con i soldi miei. Fondazione avvenuta e Sonia Toni presidente. Io raccolgo qualche soldo con le mie conferenze e con qualche donazione. Poca roba: 6.000 Euro che sono depositati alla Banca Malatestiana di Rimini a pochi metri dall’abitazione della signora Toni. Passa un po’ di tempo e la signora, la quale aveva assicurato che l’associazione sarebbe stata trasformata in onlus grazie all’interessamento di un commercialista ovviamente pagato da me, informa che la richiesta di trasformazione è stata respinta e che lei si dimette da presidente. Da dove arrivi la storiella delle dimissione a causa delle mie “falsità” resta nascosto nelle nebbie del cervello della signora Toni, ma ormai, entrati nella logica non sense, non ci sono più sorprese. Ma che fa la signora Toni? Senza avvertire nessuno fa sparire i 6.000 Euro del conto bancario, pare donandoli, chissà perché e, comunque, senza chiedere niente a nessuno, a dei grillini padovani. E il denaro che mi doveva essere reso come rimborso delle spese che avevo sostenuto per la costituzione della società e per la sua mai avvenuta trasformazione in onlus? Ma tra amici… Qualche anno dopo, insieme con qualche amico toscano mia moglie ed io fondammo una onlus chiamata Ricerca è Vita (nome copiatissimo!) che sarebbe dovuta servire a diffondere i risultati delle nostre ricerche. Qualcuno, e lascio a chi mi legge indovinare di chi si tratti perché io ufficialmente non ne so nulla, accusò presso l’Agenzia delle Entrate la onlus di fare ricerca, cosa che la onlus non avrebbe legalmente potuto fare. E che non poteva fare nemmeno praticamente, se non altro perché non aveva i locali, le apparecchiature, il personale e, soprattutto, i quattrini per farla. Va da sé che non esisteva lo straccio di un documento che reggesse l’accusa, un’accusa tipica del furbetto che fu efficace perché i burocrati che la ricevettero, senza nemmeno premurarsi di controllare non solo ciò che si era fatto a livello di ricerca (zero) ma la stessa possibilità pratica di farla, tolsero a Ricerca è Vita lo status di onlus, di fatto uccidendola come si desiderava. Chi ne ha voglia, mediti sulla serenità di chi ha giudicato. Sarebbe particolarmente divertente se non fosse preoccupante ciò che viene riportato nel testo “dignitoso”. Secondo la signora Toni i soldi raccolti da Ricerca è Vita sarebbe stati passati al laboratorio Nanodiagnostics commissionando ricerche. Chiunque voglia controllare i libri dell’associazione (molto scarni per il giro di denaro assolutamente misero), i documenti delle Poste Italiane relativi alle donazioni e le fatture della Nanodiagnostics può tranquillamente farlo. Sarà una noia, ma, almeno, chi lo farà si renderà conto della levatura di ciò che si permette di pubblicare la signora Toni e di ciò che qualcuno arriva a credere.
15)    Da scienziata qual è, la signora Toni afferma che il mondo accademico “prende le distanze” da noi. Beh, forse non è proprio così. Noi lavoriamo con la Commissione Europea (il laboratorio Nanodiagnostics è stato inserito dalla Commissione nell’elenco dei cento laboratori di punta continentali), con la NATO, con la FAO, con l’ISO, con il Dipartimento di Stato Americano di cui mia moglie è visiting professor… Questo solo per limitare all’osso un elenco piuttosto lungo. Tanto per aggiungere qualcosa, il nostro libro Nanopathology è presente nelle biblioteche delle maggiori università mondiali, da Cambridge ad Harvard, da Oxford all’MIT e nostri capitoli sono pubblicati su libri dell’Alleanza Atlantica. Se la ex compagna del comico vorrà circostanziare la sua affermazione, sarà la benvenuta.
16)    Sempre nel testo “dignitoso” la signora Toni scrive che l’avvocatessa Bortolani mi ha denunciato due volte (notizia riferita dalla Bortolani stessa l’11 settembre 2009 nel suo blog) e che denunce “se le beccherà pure la dottoressa Gatti.” Restiamo in attesa ma rendo noto che ormai siamo a fine 2012 e abbiamo perso ogni fiducia: le denunce, non è dato sapere su quali basi, non arriveranno e la cosa ci dispiace perché, di qualunque cosa si trattasse, se arrivassero, sarebbero il massacro per che le avesse sporte.
17)    Secondo il vangelo grillino della signora Toni, io non avrei partecipato al progetto europeo Nanopathology, ideato e diretto da mia moglie così come l’altro progetto europeo DIPNA. Questo perché non risulta il mio nome nei documenti consultati da lei. Purtroppo, lasciando che il cervello corra a briglia sciolta, la signora si dimentica di essere incompetente e di non accorgersi di parlare a vanvera. Ovvio che il mio nome non c’è, esattamente come non c’è quello dei nostri collaboratori, dato che è prevista la presenza solo del nome di chi è responsabile di ogni gruppo facente parte della squadra internazionale completa. Non mi piace affatto doverlo sottolineare, ma senza di me quei due progetti, specie il primo, avrebbero zoppicato non poco.
18)    Sempre sguazzando nel ridicolo, la signora Toni scrive che mia moglie ed io avremmo chiesto di essere assunti dall’Università di Urbino, l’ente che, per motivi tutti da spiegare, si è vista “donare” il nostro microscopio facendosi beffe della volontà di chi aveva regalato qualche soldo perché noi avessimo quell’apparecchio. Occorre sapere che una clausola di “donazione” sottoscritta dalla Onlus Carlo Bortolani, legittima proprietaria del microscopio pur non avendo mosso un dito per ottenerlo, a favore di Urbino prevedeva che noi potessimo usare l’apparecchio “almeno una volta la settimana”. Purtroppo, dopo un anno e mezzo dalla sottrazione, l’apparecchio non fu mai nemmeno acceso né mai potemmo vederlo. Dunque, clausola non rispettata. Mia moglie ed io non facemmo altro che far notare, subito all’inizio e semplicemente perché conosciamo le regole, che noi non avremmo potuto comunque accedere all’apparecchio non essendo dipendenti dell’Università e questo fu preso dal cervello della signora Toni come la richiesta di essere assunti. Ora, ironia della sorte, dopo che il microscopio è restato un anno e mezzo inattivo, è stato sbolognato all’ARPAM di Pesaro dove è collocato dal luglio 2011 e dove sono stai spesi, secondo quanto riferito dal prof. Pietro Gobbi dell’Università di Urbino davanti al giudice, almeno 120.000 Euro per metterlo in condizione di funzionare, e dove ora cerca amianto nei manufatti (!). Un velo pietoso. Ora noi al microscopio possiamo accedere quel giorno la settimana che fa parte dell’ipocrisia della “donazione”, ma Urbino ha dovuto inventarsi un’assunzione più o meno di comodo per noi, e questo per gli ovvi motivi burocratici di cui ogni addetto ai lavori è a conoscenza ma che, evidentemente, sono ignorati da chi scrive a vanvera pretendendo (e, sorprendentemente, ottenendo) credibilità da parte dei suoi simili.
19)    Restando nel grottesco, la signora Sonia Toni esulta: finalmente il microscopio è in un ente pubblico “di rinomato prestigio a livello internazionale” (cercare Urbino nelle classifiche internazionali delle università) e non è “presso una Srl che lo usa a scopo di lucro” (appunto). Sempre stando agli entusiasmi della signora Toni, il microscopio sarà “a disposizione di tanti ricercatori che comunque lavoreranno per l’ambiente e per la salute delle persone.” Peccato che i fatti abbiano lanciato una secchiata d’acqua gelata sugli entusiasmi e ne abbiano mostrata la stupidità, peraltro evidente fin dal primo momento a chi non sia in malafede. La verità è uscita davanti al giudice quando il professor Pietro Gobbi cui ha passato la patata bollente il rettore di Urbino (pur invitato non solo da noi ma perfino dal giudice mai presentatosi ad un confronto alla maniera di Grillo e dei grillini) ha ammesso onestamente che il microscopio ricevuto il 22 gennaio 2010 non ha fatto nulla di tutte le imprese mirabolanti (addirittura uno studio sugli armadilli!) che erano state strombazzate da Grillo, Bortolani e corte dei miracoli al seguito. Tra i tanti problemi, mancavano i soldi per usarlo. Che sorpresa! Ora il microscopio è stato sloggiato all’ARPAM di Pesaro dove l’Università di Urbino l’ha a disposizione un giorno la settimana, sempre che noi non pretendiamo anche quel giorno come ci spetta secondo l’ipocrita clausola della “donazione”. Che ricerca si possa fare disponendo dello strumento solo saltuariamente è domanda da porre alla signora Toni la quale, possiamo starne certi, non avrà difficoltà a rispondere con una dignitosa stravaganza piena di una personalissima dignità. Ora, allo stato dei fatti, con l’ironia del destino sempre in agguato, se voglio io posso usare il microscopio senza rendere conto a nessuno, vendendo a cifre astronomiche le analisi che faccio per scoprire le “sostanze che la dottoressa Gatti non conosceva” nelle biopsie dei malati ricchi. Che racconterà Grillo ai poveri gonzi che hanno donato quattrini credendo a ciò che lui andava dicendo e scrivendo sul suo blog dove sosteneva che quei soldi sarebbero serviti a dotare il dottor Montanari e la dottoressa Gatti di un microscopio elettronico per le loro ricerche, ovviamente mai rivelando che si trattava di uno scherzo e che quei quattrini sarebbero serviti a tutt’altro?
Ci sarebbero tanti altri punti da toccare, e questi anche tenendo conto della miriade di esternazioni con cui la stessa autrice invade Internet e che non entrano in quel pastrocchio che qualcuno, forse per solidarietà con l’umorismo mancante di Grillo, ha voluto aggettivare “dignitoso”. Dove stia la dignità nel mentire e nello schizzare veleno qualcuno vorrà magari spiegarlo anche a me. Mi fermo qui per l’affetto che continuo a portare a Sonia nonostante il male che ha fatto non tanto a me che conto poco quanto a tutte le persone che, con la sua cattiveria suicida, ha danneggiato. Spero per lei che un giorno le scocchi nel cervello e nel cuore una scintilla e, con quella, riesca a capire che, agendo come fa, non otterrà altro che amarezza e che tutto le scivolerà tra le dita con il risultato, quando dovrà per forza fare un bilancio, di stringere solo il nulla.

Come si mantiene la ricerca?

Una minima quota è costituita dagl’introiti ricavati dalla vendita di analisi, ma la maggior parte del denaro viene da consulenze che mia moglie ed io prestiamo e dai risparmi di due vite di lavoro.

Qual è il tuo compenso mensile?

Un Euro in busta paga ma non l’ho mai ritirato.

Quanto è attendibile la voce Stefano Montanari su Wikipedia?

Al di là della mia data di nascita e di poco altro si tratta di una serie d’idiozie scritte da uno o più idioti. Pur essendo stata contattata innumerevoli volte, servendomi anche di un avvocato, perché corregga almeno le eneormità più enormi, Wikipedia rifiuta ostinatamente di farlo e persino d’informarsi. Addirittura rifiuta di aggiornare la mia bibliografia che è decisamente più ricca di quella riportata ed è controllabilissima. Dunque, Wikipedia è del tutto inattendibile e pensare male a proposito della buona fede di chi gestisce quell’iniziativa mi pare giustificabile. Personalmente ritengo auspicabile la sua chiusura, non fosse altro che per il suo millantare di essere un’enciclopedia, definizione che prevede il controllo di ognuna delle voci da parte di un gruppo di esperti veri e non del primo mitomane che ha tempo da perdere.